Anacronismi e misteri nell’antica terra d’Egitto

 

L’ Egitto presenta molti anacronismi. Abbiamo già esaminato le piramidi della Piana di Giza. Ma questa terra è ricca di molti altri misteri. Come fecero gli Egizi a costruire opere che darebbero filo da torcere perfino agli ingegneri moderni? Opere pesanti centinaia di tonnellate, alte anche fino a centoquaranta metri d’altezza? Come fecero a trasportare enormi massi per centinaia di chilometri?

Fu solo grazie all’opera di migliaia di schiavi o forse conoscevano segreti ormai andati perduti? E come potevano lavorare a decine di metri nel sottosuolo senza l’ausilio di lampade, nella più totale oscurità? Forse conoscevano delle tecniche ormai dimenticate? Usavano un sistema di specchi? Usavano lampade a olio?

I colossi di Memnone

Non credo; non sono state trovate tracce di nerofumo sui soffitti delle tombe. Gli studiosi sono discordi su questi temi, così come per le tecniche di costruzione usate da questo popolo.

Consideriamo i colossi di Memnone, costruiti ognuno in un unico blocco di granito rosa dal peso di circa 1200 tonnellate, trasportati fino a Tebe dalle cave di Assuan, distanti all’incirca 500 km. Una leggenda greca li attribuisce erroneamente a Memnone, figlio di Aurora, che morì in battaglia durante la guerra di Troia. Da allora, la madre pregò Zeus di far rivivere il figlio ogni mattina per salutare la madre al sorgere del Sole.

Infatti, nell’antichità, le due statue emettevano una sorta di lamento, proprio ogni mattina, al soffiare della prima brezza. Dopo che l’imperatore romano Settimio Severo ebbe restaurato i colossi nel III secolo d.C., questi non emisero più alcun suono. In realtà, un tempo facevano parte del grandioso tempio di Amenophi III, oramai andato distrutto. Un tempio maestoso, forse anche più grande di quello di Karnak.

Ramsete II, il grande faraone che regnò nel XIII secolo avanti Cristo, costruì anch’egli molte gigantesche statue che lo raffigurano seduto, proprio come i due colossi di Memnone. Alcune delle opere innalzate per ordine di questo sovrano sono colossali, come il Tempio ad Abu Simbel, il colosso conservato a Menfi (realizzato in un unico blocco di pietra dal peso di circa 1200 tonnellate!) o parte del complesso di Karnak.

Come facevano gli Egizi a trasportare questi enormi pesi per decine di chilometri nel deserto, senza nemmeno servirsi di ruote e carrucole, ancora sconosciute?

Come avrebbero fatto?

Gli studiosi pensano che potessero utilizzare delle slitte sulla sabbia appositamente bagnata, ma si sarebbe dovuto comunque trattare di un’operazione molto lunga e faticosa, e sarebbero probabilmente occorse rampe molto lunghe per poter innalzare i blocchi di pietra ad altezze elevate. Anch’esse, quindi, sarebbero state opere troppo impegnative. Di fatto, non rimangono tracce di alcuna rampa!

Verso l’inizio del Nuovo Regno, salì al potere un “faraone donna”, Hatshepsut. Anch’ella fece costruire opere imponenti, come il grande tempio nella roccia dedicato alla dea Hator, sito a Deir el-Bahari, e molte altre opere, tra cui un obelisco incompiuto, abbandonato nella cava per via di una lesione che ne avrebbe compromesso la stabilità. Quest’ultimo pesa più o meno 1200 tonnellate e sarebbe stato il più grande obelisco mai innalzato. Nessuna gru al mondo sarebbe capace di sollevarlo!

Come facevano gli operai egizi a lavorare senza luce a decine di metri nel sottosuolo durante la lavorazione delle tombe nella Valle dei Re e delle Regine? Non credo usassero specchi, come ci hanno spiegato gli studiosi, perché la luce del Sole non sarebbe mai potuta giungere a così grandi profondità; si sarebbe dispersa, senza arrivare a illuminare le camere più profonde, lì dove, tuttavia, possiamo ammirare splendide e policromatiche pitture.

La tomba di Sethi I

E alcune tombe sono davvero molto profonde, sviluppandosi per decine e decine di metri nel sottosuolo.

La KV17, la tomba di Sethi I, è quella che si addentra maggiormente nelle profondità oscure della Valle dei Re, per circa un centinaio di metri. Ma potrebbe essere anche più lunga, dato che non si è ancora giunti a esplorarne la fine. Venne scoperta dall’avventuriero padovano Giovanni Battista Belzoni nel 1817. Questi, prima di andare a cercar fortuna in Egitto, aveva lavorato come Mister Muscolo in un circo, data la sua stazza imponente (era alto poco più di due metri!). Nel suo diario ci lasciò interessanti resoconti delle sue avventure. Anch’egli si stupì del fatto che gli Egizi, pur con scarsa luminosità, riuscirono a realizzare dei dipinti così pregiati.

Il diario di Belzoni

Belzoni, in alcune pagine del suo diario, ci parla di una scoperta a dir poco sorprendente. Si trovava nei pressi di Saqqara quando entrò in una tomba mai esplorata. Qui si trovò di fronte a una sorta di “grande uccello”: un veicolo realizzato in legno, di grandi dimensioni, probabilmente in grado di volare come un deltaplano. Su di esso erano ancora visibili tracce di vernice colorata. Purtroppo, l’avventuriero si lasciò vincere dall’emozione e non agì con metodo. Nel toccare il veicolo, infatti, questo si ridusse in un cumulo di frammenti, come se fosse stato fatto di vetro.

Per cui, la scoperta non poté essere documentata. Se tale aneddoto sia riferito o meno a un fatto realmente accaduto probabilmente non lo sapremo mai, ma se fosse attendibile, saremmo di fronte alla prova del fatto che gli Egizi, 4.000 anni prima dei fratelli Wright, trovarono il modo di alzarsi in volo.

Sempre a Saqquara venne eretta una famosa piramide a gradoni, molto simile a quelle innalzate nell’America precolombiana. L’antico nome di Tiahuanaco era Chucara. Notiamo con interesse l’assonanza tra questi due nomi: “Saqquara” e “Chucara”. Potrebbe esserci stato un qualche rapporto di gemellaggio tra questi due luoghi del mondo, così distanti tra loro.

Diverse leggende vedono Tiahuanaco come la città più antica, fondata dalla coppia divina creatrice dell’umanità, Manco Kapaq e Mama Occlo. In questo caso non ci troviamo su una montagna sacra, ma sul lago Titicaca, che comunque è il lago più alto del mondo, a 3800 metri d’altitudine sul livello del mare!

Ogni leggenda andina colloca l’inizio di tutto sul lago Titicaca, il luogo in cui il grande dio Viracocha compì i suoi atti di creazione.  Qui gli antenati degli Incas ricevettero un bastone d’oro con cui fondare la civiltà andina.

Con quale scienza?

Con quale scienza, gli antichi faraoni, in Egitto, poterono costruire i loro imponenti monumenti, le piramidi e la Sfinge? Ad esempio, ancor oggi gli archeologi si chiedono cosa usassero in passato gli Egizi per produrre fori perfetti nella roccia. Se ne sono trovati parecchi, tutti perfetti. Sembrano prodotti da un trapano elettrico con punta di diamante, l’unico capace di perforare la dura roccia. Eppure, l’attrezzo era sconosciuto in quei tempi. Inoltre, su certe pareti di piramidi e templi sono presenti incisioni raffiguranti misteriosi arnesi dall’uso sconosciuto e, a Dendera, degli oggetti simili a lampadine, con tanto di elettrodi e cavi. Gli egiziani conoscevano forse l’elettricità? E, in tal caso, da chi appresero questa scienza?

di Daniela Bortoluzzi

tratto dal libro Alla ricerca dei Libri di Thot

Rivelazioni proibite e verità scomode. La chiave per decodificare il mistero della Genesi.


https://www.mitiemisteri.it/misteri-antico-egitto/misteri-egitto

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Mondo Tempo Reale è il blog che dal 2010 vi racconta le notizie più incredibili, strane, curiose e divertenti: fatti imbarazzanti, ladri imbranati, prodotti assurdi, ricerche scientifiche decisamente insolite.
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