Reperti faunistici unici nei sacrifici rituali per la fondazione dell'antica Cuma |
La mandibola di un orso e resti di equidi ritrovati assieme a cocci di vasi da vino, distrutti in piccoli frammenti e sparsi su una grande superficie, fanno ipotizzare un sacrificio rituale condotto dai coloni greci al momento della definizione dell’impianto urbano della colonia
“Rispetto agli altri contesti faunistici che abbiamo studiato, quello trovato nel contesto abitativo greco della fine dell’VIII secolo a.C. a Cuma è eccezionale” dice Matteo D’Acunto, professore associato in Archeologia Classica presso l’Università L’Orientale di Napoli. “Assieme a resti di maiali, caprovini e buoi parzialmente combusti, la presenza di ossi di equidi e di orso, non riconducibile alle attività alimentari che si conducevano giornalmente nelle cucine dei coloni greci, lascia ipotizzare un sacrificio nelle prime fasi di fondazione della colonia greca” spiega il ricercatore che dal 2007 dirige gli scavi nel settore settentrionale dell’abitato greco-romano di Cuma, nell’area vulcanica dei Campi Flegrei.
Lo scavo dell’Università l’Orientale si svolge con la formula del cantiere scuola, che vede la partecipazione di un centinaio di studenti all’anno, in regime di concessione dal Ministero per i Beni Culturali e sotto l’egida del Parco Archeologico dei Campi Flegrei, diretto da Paolo Giulierini. Il nuovo contesto archeologico e faunistico è stato presentato per la prima volta in occasione di un convegno internazionale tenutosi a Lacco Ameno, Ischia, nel maggio 2018 ed è adesso in corso di pubblicazione sulla rivista AION Archeologia e Storia Antica.
“Non è soltanto la particolarità delle specie, ma anche quali porzioni anatomiche e come queste sono state trattate” aggiunge Ivana Fiore, archeozoologa collaboratrice del Laboratorio del Servizio di Bioarcheologia del Museo delle Civiltà di Roma, che ha studiato i 299 frammenti di ossi animali riportati alla luce dal gruppo di ricerca di D’Acunto. Tra questi la ricercatrice ha individuato la presenza di almeno 11 caprovini, 12 maiali e sei buoi, animali domestici normalmente associati alle attività alimentari, ma che qui presentano delle caratteristiche particolari. Gli ossi recano infatti segni di macellazione e di combustione, con una importante incidenza della pratica dell’arrosto/spiedo, nonché in percentuale significativa evidenze di una combustione diffusa, che dimostra l’esposizione diretta di alcune degli ossi alla fiamma.
“Le modalità di cottura e depezzamento hanno aiutato a capire che non era cucina tradizionale in contenitori, ma utilizzo diverso. La carcassa è stata ridotta in piccole porzioni che sono state arrostite, con la parte ossea che sporgeva che è più annerita e carbonizzata. La restante parte degli ossi non carbonizzata era ricoperta dalla carne” spiega la ricercatrice che sottolinea che non è frequente trovare parti combuste solo in parte e aggiunge che “non si tratta di resti di pasto consumati che sono stati gettati nel fuoco per essere distrutti. Si tratta di una pratica di cottura particolare.” Matteo D’Acunto spiega che il fatto che gli ossi fossero direttamente a contatto della fiamma e depezzate riflette un modus operandi del sacrifico greco, “in cui il corpo dell’animale viene diviso tra le carni che vengono distribuite ai partecipanti al sacrifico, i commensali, mentre le ossi direttamente sulla fiamma sono bruciate per essere dedicate agli dei che partecipavano indirettamente al sacrifico, respirando idealmente il fumo della combustione degli ossi sulla fiamma”.
Cuma, resti faunistici in corso di studio. Fotografia di Ivana Fiore |
Un altro dato del tutto unico rispetto al contesto dello scavo è la presenza di resti riferibili ad un numero minimo di sei Equidi di età adulta o adulto senile, consistenti in almeno cinque cavalli e un asino o mulo. “Anche in questo caso sono resti craniali, cioè di denti; per quanto riguarda il post-cranio ci sono solo reperti delle parti anteriori delle zampe” dice Ivana Fiore rivelando una particolarità “Abbiamo trovato 3 radi, dei quali due interi e uno distale. Tutti e tre i radi sono sinistri; non possiamo escludere che ciò sia dovuto ad una casualità, ma ciò potrebbe essere invece determinato dalla specificità del rituale”.
Sugli ossi di equidi non c’è nessuna traccia riconducibile a colpi inferti con armi, o che ne possa dimostrare un coinvolgimento in un evento bellico e i ricercatori non ritengono probabile che i resti trovati nello scavo derivino da attività alimentari, anche perché questi resti sono stati trovati, assieme a un’emimandibola di orso. “Anche se la carne di cavallo era certamente considerata come commestibile, il suo consumo non era socialmente diffuso presso i greci dell’epoca. Infatti, essi sono il simbolo delle aristocrazie greche che fondano Cuma e poi divengono anche il simbolo delle élites coloniali cumane” spiega D’Acunto, citando le fonti letterarie tra cui lo storico Dionigi di Alicarnasso, a proposito della battaglia combattuta dai cumani contro un contingente di etruschi e italici nel 524 a.C., che vide per l’appunto come protagonisti i “cavalieri”. D’altro canto, resti di cavalli, caduti in battaglia, recanti tracce dei colpi delle armi, sono stati rinvenuti in un contesto archeologico della stessa Cuma del V sec. a.C. immediatamente a ridosso delle mura settentrionali, pubblicato da Bruno d’Agostino, direttore degli scavi a Cuma dal 1994 al 2006, e da Aurora Lupia, Alfredo Carannante e Marianna Della Vecchia.
Al contrario, secondo Matteo D’Acunto, l’essere stati oggetto di un sacrificio può essere suggerito dalla concomitanza di diversi aspetti. Innanzitutto, dalla presenza, forse selettiva, soprattutto di parti del cranio e degli arti. Poi dal fatto che nell’immaginario greco, l’asino è associato, tra l’altro, a Dioniso e ai sileni, e in generale al consumo del vino e alla dimensione festiva, come testimoniato ad esempio dal Vaso François custodito presso il Museo Archeologico di Firenze in cui è rappresentato Efesto che torna all’Olimpo in groppa ad un asino tirato da Dioniso, seguito da satiri dei quali uno porta un otre di vino e un altro suona il doppio flauto. Infine, allargando il discorso al mondo greco di epoca geometrica (X-VIII sec. a.C.), i sacrifici di cavalli sono rari, ma sono associati a contesti elitari molto particolari, come il ritrovamento di quattro cavalli nella tomba di un re a Lefkandì, nella madrepatria, nell’isola di Eubea nel Mare Egeo.
Una mandibola di un orso forse usata come trofeo
Ancora più particolare è il ritrovamento, nello stesso orizzonte stratigrafico, dell’emimandibola di un orso, probabilmente una femmina adulta, in base alla morfologia e alle dimensioni. “La mandibola è stata macellata minuziosamente, con decine di tagli e colpi che hanno trattenuto solo la parte dove sono presenti i denti. Tutta la parte sottomandibolare è stata asportata” dice Ivana Fiore. “Si tratta di un reperto eccezionale. Difficile capire l’uso che ne è stato fatto, ma c’è troppo lavoro sull’emimandibola per pensare che ne fosse stato fatto solo un uso alimentare o che le tracce fossero dovute semplicemente all'attività di spellamento.”
Anche secondo D’Acunto tutto fa pensare a un uso particolare della mandibola. “Nell’immaginario greco l’orso è un animale associato alla caccia pericolosa, ma anche a riti di passaggio e d’iniziazione, come nel caso delle fanciulle ateniesi nel santuario di Artemide a Brauron”. “Se uno segue percorsi per analogia potrebbe pensare a una maschera, a una punta di uno strumento… Tutto questo naturalmente non è dimostrabile. Ma sicuramente la lavorazione della mandibola di orso ne indica un uso particolare” conclude il ricercatore.
Il ritrovamento di un resto d’orso è eccezionale per la zona archeologica dei Campi Flegrei. Gli orsi erano cacciati per le pelli e l’ipotesi più semplice è che l’orso fosse stato cacciato nelle vicinanze (l’alternativa sarebbe quella di ipotizzare una caccia a distanza nelle montagne interne dell’Appennino). Nel passato gli orsi potevano essere, forse, presenti in questa regione. In effetti, come ci ricorda Strabone, sulle alture attorno al Lago d’Averno, nelle immediate vicinanze del sito archeologico dove è stato fatto il ritrovamento, c’era “una foresta di grandi alberi, selvaggia, impenetrabile e tale da rendere ombroso il golfo”. Non a caso, proprio all’Averno i greci localizzavano l’ingresso agli inferi.
Un atto sacrificale per espiare la distruzione di un’abitazione greca precedente e per propiziare la realizzazione dell’impianto urbano?
I resti animali sono stati trovati nella stessa stratigrafia dove sono stati rinvenuti frammenti di rivestimento in argilla cruda in pisè, che suggeriscono che si tratti dell’interno di un ambiente domestico che è stato distrutto, e una grande quantità di frammenti di vasi, la maggior parte dei quali legati al consumo di vino, spezzettati minuziosamente. L’ipotesi che questi vasi avessero subito un’intenzionale rottura, apparentemente rituale, era suggerita dalla loro riduzione in minuti frammenti e dal fatto che frammenti dello stesso vaso siano stati rinvenuti a distanza considerevole e in diversi strati sovrapposti al piano di calpestio dell’ambiente.
“La distruzione di una casa non la immaginiamo con i cavalli” spiega Matteo D’Acunto. “Quando abbiamo trovato i cavalli ci siamo chiesti se fossero legati ad un combattimento, ma le ossi non recano segni di combattimento. Il contesto archeologico ci ha indotto a preferire l’ipotesi secondo la quale l’atto sacrificale riguarda sia l’espiazione legata alla distruzione dell’abitazione precedente, comunque già ascrivibile alla colonia greca, sia un’iniziazione più significativa, cioè l’impianto urbano con la definizione della sua rete stradale e la costruzione delle abitazioni comprese all’interno degli isolati”.
La fondazione della colonia greca di Cuma (all’incirca alla metà dell’VIII sec. a.C.), così come quella di Pithekoussai ad Ischia, solo di poco precedente, ha avuto ripercussioni importanti su tutta la Campania, il Lazio e l’Etruria. Basti pensare alla diffusione dell’alfabeto greco, che ha poi permesso lo sviluppo di quello etrusco e latino. Oggi i reperti faunistici ed, archeologici rinvenuti durante gli scavi condotti dal Prof. D’Acunto si trovano nei magazzini del Parco Archeologico di Cuma e presso il Laboratorio di Bioarcheologia del Museo delle Civiltà di Roma. Forse un giorno saranno esposti nel Museo Archeologico dei Campi Flegrei, nel castello di Baia.
I ritrovamenti dei resti di equidi e di orso sono eccezionali per l’area flegrea e Matteo D’Acunto sottolinea l’importanza della collaborazione tra archeologi e archeozoologi: “Cosa avremmo capito se avessimo considerato solo i vasi? Avremmo perso il 50 percento d’informazioni e non saremmo arrivati a ricostruire il contesto e a formulare l’ipotesi di un atto rituale relativo alle prime fasi di vita della colonia greca di Cuma”.
“Questo contesto così particolare pone molte domande a cui non siamo necessariamente in grado di rispondere” dice Ivana Fiore, che spiega come il lavoro dell’archeologo e dell’archeozoologo “si basano su processi cognitivi ipotetici e sulla ricostruzione sulla base di indizi; un lavoro da detective”.
I ricercatori confrontano i reperti rinvenuti a Cuma con quelli provenienti da altri scavi e cercano di interpretarli alla luce delle informazioni provenienti dai testi antichi per capire la loro valenza nel mondo greco. “Ci muoviamo con prudenza a livello interpretativo” dice Matteo D’Acunto, sottolineando come a volte le domande siano più numerose delle risposte. Ma non importa. “In questo processo continuo di ricerca, il cammino è più bello della meta”.
di Tosca Ballerini
http://www.nationalgeographic.it/scienza/2019/04/09/news/reperti_faunistici_unici_in_un_sacrificio_rituale_dell_antica_colonia_greca_di_cuma-4362179/
0 commenti:
Posta un commento