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erremoto Catania – L’Etna, il vulcano più alto d’Europa, è circondato da faglie in grado di attivarsi e generare sismi che, fortunatamente, spesso non raggiungono valori elevati di Magnitudo (maggiore di 4.5), ma hanno comunque dimostrato nel corso della storia di poter provocare danni ingenti e distruzione.
La faglia Pernicana a Nord ed il cosiddetto “sistema delle Timpe” a Sud rappresentano i punti nevralgici del quadro sismotettonico etneo (Fig. 1):
E’ stato calcolato che, a causa di eventi sismici, in media negli ultimi due secoli l’area etnea ha subìto gravi danni una volta ogni circa 15 anni e distruzione con vittime ogni circa 30 anni. Fenomeni dunque tutt’altro che trascurabili e da non sottovalutare. In particolare è il versante orientale dell’Etna, oltre tutto pure il più urbanizzato, a risultare sede preferenziale dei terremoti che, seppur generati dal movimento di faglie, risentono comunque anche dell’attività vulcanica e del suo parossismo. In particolare i Comuni più interessati sembrano essere quelli di Zafferana, Acireale e Giarre. (Fig. 2)
Per i motivi suddetti tali sismi sono definiti vulcano-tettonici in quanto il magma, in risalita dalle profondità della terra, può provocare la fratturazione delle rocce superficiali e con essa le vibrazioni che danno origine ai sommovimenti. Non a caso dunque la caratteristica essenziale di questi eventi tellurici è la superficialità dell’ipocentro (spesso inferiore ai 5 km) e la forte attenuazione dell’energia sismica nel raggio di pochi km, con conseguente concentrazione dei danni in aree molto ristrette geograficamente, situate spesso a cavallo della faglia generatrice. In altre parole, con una locuzione cara ad alcuni scienziati del passato travolti da una vena romantica, questi terremoti rappresentano un po’ “il respiro del vulcano” e vengono definiti anche come “tremori vulcanici” proprio per rimarcare come sia tutta la montagna a “muoversi” ed a scuotere di conseguenza il terreno. Interessante notare che, pur se caratterizzati da una Magnitudo bassa, i terremoti etnei sono capaci di stravolgere il territorio, con fenomeni di fagliazione superficiale anche intensa ed estesa come fenditure, depressioni, piccole voragini che talora possono raggiungere anche i 5 km di lunghezza, provocando non pochi problemi a edifici ed infrastrutture viarie. In alcune occasioni tali dislocazioni possono verificarsi anche senza rilascio di energia sismica: si tratta di movimenti molto più lenti e prendono il nome di creep (Fig. 3), ben individuati sui fianchi dell’Etna dagli scienziati. Un vulcano dunque che “respira” e si “muove” anche pesantemente, in maniera costante e continua, con fenomeni parossistici violenti e ben individuabili nel corso del tempo.
Fig. 3. Fagliazione superficiale riscontrata direttamente sul terreno nel versante orientale dell’Etna (da Azzaro, 2010) |
Fig. 4. Le intensità macrosismiche rilevate nel terremoto etneo del 1818, il più forte avvenuto nella zona negli ultimi due secoli (da CPTI15, www.emidius.mi.ingv.it) |
Evidentemente però la storia non insegna niente perchè anche nel ‘900 non mancano fenomeni sismici significativi, con danni e vittime, nell’area etnea. Difatti preceduta da alcuni “tremori”, alla fine di un’attività eruttiva del vulcano particolarmente intensa, il 15 ottobre 1911 si sviluppa una scossa di Magnitudo 4.6, con epicentro nei pressi di Giarre. Tra i paesi e le frazioni più colpite risultano (di nuovo) Fondo Macchia, Palombaro, S. Venerina. 13 le vittime accertate causa crolli generalizzati di abitazioni dalle tipologie edilizie alquanto scadenti, con i muri a secco ed i tetti particolarmente pesanti nonchè assenza di fondamenta, elementi tipici dell’epoca. Nel territorio si riscontrano fenditure, fessurazioni e voragini nel terreno che spesso accompagnano i fenomeni di questo tipo. Particolarmente grave la situazione della borgata di Fondo Macchia: già semidistrutta nel 1865, duramente colpita anche da questo sisma, sarà praticamente abbandonata.
Fig. 5. Le intensità macrosismiche per il terremoto che colpisce il versante orientale dell’Etna nel 1911 (fonte INGV) |
Si riparte il 19 marzo 1952, giorno di S. Giuseppe da cui prende nome popolarmente l’evento, un terremoto che conferma una volta di più quanto visto in precedenza. Il versante orientale dell’Etna è zona tra le più sismiche dell’intera Sicilia e soprattutto si verificano danni anche in presenza di Magnitudo non elevate. Nel 1952 l’epicentro è situato nei pressi di Linera, semidistrutta nonostante una magnitudo intorno a 4.1, dunque ben al di sotto della cosiddetta “soglia del danno”. I Comuni più colpiti sono Santa Venerina e Zafferana dove le frazioni di Pisano e Fleri subiscono danni notevoli. Lesioni anche ad Acireale ed in numerose borgate rurali dell’area. Due i morti per un sisma che meriterebbe ulteriori approfondimenti, essendo paradigma di quanto possa accadere se il territorio, con fabbricati vetusti e mal edificati, risulta vulnerabile a scosse anche poco potenti.
Il fenomeno si ripete 32 anni dopo, il 25 ottobre 1984 quando il versante orientale dell’Etna mostra di nuovo la sua forte vulnerabilità anche a scosse di Magnitudo relativamente bassa (4.5) ma con ipocentri superficiali (intorno ai 5 km). Due scosse in una settimana (di cui la più forte notturna) provocano un morto e diversi feriti nella zona di Zafferana Etnea, con particolari danni a Fleri e Pisano. Il 70% degli edifici nel comune di Zafferana è dichiarato inagibile. Alcune persone vengono estratte vive dalle macerie ma fortunatamente la maggior parte degli abitanti era già in salvo, dormendo prudenzialmente all’addiaccio, avendo avvertito alcune scosse nelle ore precedenti.
L’anno seguente è l’alta quota ad ergersi protagonista. In concomitanza con l’inizio di un’eruzione, uno sciame sismico si sviluppa a cavallo tra 1985 e 1986, con la scossa principale che trova il suo epicentro nella zona detta Etna Nord, caratterizzata da infrastrutture turistiche che proprio il giorno di Natale (25.12.1985) vengono distrutte da un sisma di Magnitudo 4.2. Una persona muore nel crollo dell’albergo Le Betulle. Nell’autunno 2002 la stessa area è oggetto di un altro sciame intenso, che stavolta dura pochi giorni, ma in pratica occupa l’intero versante orientale del vulcano, iniziando di nuovo ad Etna Nord che viene interamente travolto da una grande eruzione, tra le più esplosive dell’ultimo secolo, tale da distruggere l’intera area di Piano Provenzana. Associata all’emissione di lava, il 27 ottobre 2002 una scossa di Magnitudo 4.8 dà il colpo di grazia alle infrastrutture che verranno faticosamente ricostruite. Due giorni dopo, il 29 ottobre, un altro sisma di Magnitudo similare colpisce l’area di S. Venerina e Bongiardo, con danni significativi ma nessuna vittima. Nel breve giro di una settimana le scosse si esauriranno, lasciando però la conferma di come, proprio come sta accadendo in questi giorni, il versante orientale dell’Etna non sia al sicuro dal rischio sismico, soprattutto se in presenza di violente eruzioni vulcaniche. In passato il territorio ha dimostrato più volte la sua vulnerabilità a scosse anche di Magnitudo relativamente bassa. Il terremoto di questa notte ha confermato come la storia spesso si ripeta. E purtroppo come non si riesca ancora a recepire ed applicare i suoi insegnamenti.
Fig. 6. La sintesi delle immagini precedenti, con le faglie e la posizione degli epicentri dei terremoti sviluppatisi sul versante orientale dell’Etna (fonte INGV) |
http://www.meteoweb.eu/2018/12/terremoto-catania-eruzione-etna/1197313/
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