Viaggio nelle culture della droga
Dal Messico all'Africa, dall'Amazzonia alle isole polinesiane, molte pratiche tradizionali sono basate sul consumo di piante psicoattive. Eccone alcune delle più affascinanti (ma non fatelo a casa)
di Hannah Lott-Schwartz - Illustrazioni di Mike Dutton
In occidente il termine "cultura della droga" evoca composti chimici artificiali che alterano le facoltà intellettive e distruggono individui e intere comunità. Ma in diverse parti del mondo, il consumo e la somministrazione di enteogeni - sostanze psicoattive dall'effetto psichedelico o allucinogeno, usate in contesti sciamanici e religiosi - è una vera e propria arte, radicata da secoli in particolari culture. Ingerendo una pianta dalle proprietà psicoattive, l'individuo punta a congiungersi con entità supreme, ascoltarle o dialogare con esse, fondersi con la natura, assorbire un'antica sapienza.
Con l'era dei viaggi intercontinentali si è sviluppato intorno a queste culture una sorta di "turismo della droga" che, anche senza considerare gli inevitabili episodi di corruzione e violenza, mette a rischio non solo le antiche pratiche, ma persino le piante su cui esse sono basate.
Ecco cinque di questi "ecosistemi culturali" basati sul consumo di sostanze psicoattive che sono finora sopravvissuti alla curiosità del mondo esterno. Per quanto ancora?
Gabon, Africa Centrale
In questo paese, poco più grande del Regno Unito, che si estende a cavallo dell'Equatore sulla costa atlantica dell'Africa, cresce un arbusto dai fiori bianchi e rosa - non particolarmente belli da vedere - e dal frutto arancione, senza sapore e dalle proprietà nutritive quasi inesistenti. Eppure la pianta di iboga è sacra per molti popoli della zona: specialmente per i Babongo, che un migliaio di anni fa scoprirono le proprietà delle sue radici, e intorno a esse fondarono un'intera religione, detta Bwiti.
Traducendo a senso, la parola Bwiti significa "medicina soprannaturale dell'albero", o anche "l'essere che chiama". I devoti ingeriscono la corteccia psichedelica sia per la loro crescita spirituale individuale sia per rafforzare il senso di comunità. Ma soprattutto mangiarla è un rito di passaggio, un'iniziazione alla saggezza spirituale indotta dalla pianta, una connessione alla sapienza ancestrale.
Ma prima che la pianta possa dispiegare i suoi effetti - allucinazioni in stato di veglia, che possono durare anche per 48 ore di seguito - occorre un complesso rituale di preparazione. La corteccia viene grattata via dalle radici, poi ridotta in scaglie o triturata; poi comincia la cerimonia officiata dallo N’ganga, o sciamano, con battiti di mani, canti e musiche elaborate a base soprattutto di percussioni. È un evento comunitario, con anziani, guaritori e persino bambini siedono ai lati della scena per assistere alle rivelazioni indotte dall'iboga. L'iniziato si abbandona alla pianta, e racconta le sue visioni ad alta voce, in modo che lo N'ganga possa interpretarle e guidarle "in diretta".
Ande e Amazzonia, Sud America
Nel calore della foresta amazzonica, seduto in una capanna sopraelevata, la pelle coperta da una scivolosa patina di sudore, uno sciamano intona gli icaros, i canti cerimoniali, mentre Pachamama, la Madre Terra, ti afferra l'intestino e lo stringe per bene. Così, con intensi attacchi di vomito (e spesso anche di diarrea) comincia la cerimonia dell'ayahuasca, in cui ci si libera dalla bile (letterale e metaforica) per indurre uno stato di trance mistica, di guarigione trascendentale, caratterizzato da violente allucinazioni che mettono alla prova il coraggio e l'amore anche per quattro-sei ore.
Il decotto di ayahuasca ha un aspetto torbido e non è molto piacevole al palato. Si ottiene da una liana, detta anch'essa ayahuasca, e da foglie di un arbusto, la chacruna, cui viene spesso aggiunto stramonio e tabacco selvatico della giungla, detto mapacho, per aumentare l'effetto purgante. Il tutto viene fatto bollire per 12 ore, mentre lo sciamano soffia nel calderone il fumo del sacro tabacco. Il termine ayahuasca è un composto di due parole in lingua quechua, e a seconda delle interpretazioni può significare "liana delle anime" o "corda dei morti". Come dice il nome stesso, si tratta di un potente richiamo per Pachamama, una figura centrale della spiritualità di indios e mestizos, che da secoli la invitano a impossessarsi - in tutte le sue forme - dei loro corpi.
Messico nord-occidentale, Texas meridionale
Nei torridi deserti tra Messico e Texas, si scava in terra per raccogliere un piccolo cactus senza spine, che si dice abbia il potere di ampliare la visione di chi è abbastanza forte e coraggioso da accoglierlo. Il peyote non si prende: è lui che prende te.
Mescalito - la figura che, in tempi più recenti, è diventata la personificazione del cactus - si mostra da più di 5.000 anni ad Aztechi, indios e indiani americani, ed è un caposaldo di molte pratiche culturali e religiose. Le cerimonie possono anche essere molto diverse tra loro, ma sono quasi tutte comunitarie: sotto la guida di uno sciamano, il gruppo intona speciali canti mentre ingerisce i boccioli essiccati del cactus. Nel corso di 10-12 ore, le allucinazioni (accompagnate, per i neofiti, da violenti attacchi di vomito) trasportano l'iniziato nello spazio e nel tempo, attraverso un ampio spettro di emozioni. Il peyote ispira sentimenti di timore reverenziale che a volte confina con la vera e propria paura.
Isole del Pacifico
La kava (anche detta kava-kava o yaqona, "nutrimento degli dei" è probabilmente uno degli enteogeni più blandi, ed è l'unica sostanza citata in questo articolo che può essere legalmente utilizzata negli Stati Uniti anche al di fuori del contesto religioso. Conosciuta nelle isole del Pacifico (tra cui le Hawaii, Vanuatu e le Figi) per i suoi poteri pacificanti, la kava è un elemento fondamentale del tradizionale stile di vita polinesiano, e viene usata in vari contesti, dal religioso al sociale, come mediatore tra le persone e il Vu, la forza spirituale. Senza la kava, si dice, il Vu non si manifesta.
Per preparare la bevanda, opaca e lattea - si bollono le radici lunghe e nodose della pianta dopo averle pestate, masticate o comunque polverizzate. Mentre la bevanda gorgoglia nello stomaco, il consumatore entra in un curioso stato mentale a metà tra tranquillità ed euforia, senza perdere lucidità. Tuttavia il consumo prolungato può indurre una specie di blocco mentale, quasi un gentile sonnambulismo. Per affrontare l'esperienza nel modo giusto, è consigliabile non abbandonarsi del tutto all'annebbiamento, ma farsene per così dire guidare, ad esempio meditando o chiedendo la soluzione a un problema.
Oaxaca, Messico meridionale
Negli anni Cinquanta, due americani riuscirono a partecipare a una cerimonia tradizionale dei Mazatechi dello stato di Oaxaca, e a raccontare le loro "profonde esperienze" al mondo in un reportage fotografico pubblicato dalla rivista Life, dal titolo Seeking the Magic Mushroom ("alla ricerca del fungo magico"). Cominciò così la lunga e tormentata storia d'amore tra l'Occidente e la psilocibina, la sostanza psichedelica presente nei funghi. A studiarla e propagandarla per le sue proprietà psicologiche e religiose fu soprattutto Timothy Leary, animatore dello Psylocybin Project dell'Università di Harvard.
Nella sua forma non adulterata, i Mazatechi e altri popoli mesoamericani la usano per scopi medicinali, contro disturbi fisici, mentali ed etici. Come l'ayahuasca e il peyote, i funghi sono venerati per la loro capacità di guidare chi la assume oltre i confini della propria realtà, di violare le convenzioni, ampliare le prospettive, aprire nuovi canali di compassione ed empatia verso se stessi e il resto del mondo. I Mazatechi la consumano nel corso di un rituale comunitario, che si svolge all'interno di una capanna, in silenzio e al buio; i funghi, avvolti dal fumo dell'incenso di coppale, vengono mangiati a due a due, per rappresentare la dualità e il potere dell'unificazione dei due sessi. Lo sciamano è la voce designata del gruppo, il canale attraverso cui i funghi parlano: e hanno sempre molto da dire.
http://www.nationalgeographic.it/multimedia/2017/05/05/video/culture_droga_africa_sudamerica_pacifico-3513825/1/
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