Dai piccoli pesci mangimi e cosmetici. Ma l'Italia è pronta?
I pesci "sotto taglia" che finiscono nelle reti devono essere portati a riva, ma i pescatori potrebbero rivenderli alle industrie per scopi alternativi al consumo umano. Un'opportunità che l'Italia fatica a cogliere
Per i pescatori italiani e di tutta Europa è un'opportunità, o almeno una compensazione per un obbligo che non hanno mai digerito: quello di portare a terra i pesci “sotto taglia” che entrano accidentalmente nelle reti. Pesci che secondo le normative ambientali europee sono troppo piccoli per essere pescati e non possono essere consumati dall'uomo. Adesso anche in Italia sta - lentamente - nascendo una filiera alternativa per garantire uno sbocco commerciale a questi “pesciolini”: potranno trasformarsi in cosmetici, prodotti farmaceutici, mangimi e additivi alimentari. Lo prevede il regolamento UE 1380/2013, entrato in vigore nei primi giorni del 2014.
La possibilità, quindi, esiste da tempo. Ma solo oggi, per l'Italia, i tempi sembrano finalmente maturi perché dal primo gennaio 2017 è entrata in vigore una parte importante del regolamento UE. Se fino alla fine dello scorso anno l'obbligo di sbarco valeva solo per sardine, acchiughe, sgombri e sugarelli, pescati con reti da traino o da circuizione (la tecnica della lampara), ora il campo si è ampliato. L'obbligo è stato esteso, per gli esemplari sotto-taglia catturati con reti a strascico, a due pesci molto comuni nei nostri mari: il merluzzo e la triglia, nel Tirreno, nell'Adriatico e nello stretto di Sicilia, dove il regolamento 1380 si applica anche al gambero rosa.
Dunque, nuovi obblighi per gli addetti ai lavori. Per capire con quale stato d'animo i nostri pescatori abbiano accolto il regolamento europeo, basta dire che fino a tre anni fa la legge italiana non solo consentiva, ma obbligava a rigettare in mare i pesci sotto taglia (decreto legislativo 4/2012). Dal 2014, invece, la situazione si è capovolta e questi pesci si sono trasformati in una zavorra burocratica: devono essere tenuti a bordo, registrati, sbarcati e consegnati alle ditte che si occupano del loro smaltimento.
“Il problema di smaltire questo pesce, finora, l'hanno avuto soprattutto i pescatori del nord Europa” spiega Gian Ludovico Ceccaroni di Federcoopesca. Nei porti italiani, per tipo di pesca e di fauna ittica, non arrivano abbastanza pesci “taglia s” per giustificare la nascita di una nuova filiera. Ma ora le cose stanno cambiando. “Questa norma è un nuovo modo di guardare alla blu economy – scrive Federcoopesca in un comunicato - l'auspicio è che, una volta entrata a regime, questa legge diventi uno strumento efficace per una pesca sempre più sostenibile e un contributo tangibile nella lotta agli sprechi”. Ceccaroni aggiunge che sono partite alcune sperimentazioni per utilizzare il pesce di piccola taglia sbarcato a terra per farne farine e olio. “L'Unione Europa importa molta farina di pesce, soprattutto dal Cile, per acquacoltura e allevamento. Un prodotto che in Italia arriva via Rotterdam” continua Ceccaroni. Produrlo in casa nostra sarebbe un vantaggio per la bilancia commerciale e per le cooperative di pescatori. Anche perché l'acquacoltura fornisce ormai il 50% del pesce che finisce sulle nostre tavole.
“La strada più promettente è questa, ed è anche una delle più veloci – aggiunge Ceccaroni – anche se la più semplice in assoluto sarebbe dare questi pesci in pasto ai tonni, come si fa in Croazia. In Italia, però, non abbiamo questi allevamenti”.
L'olio di pesce, soprattutto se di pesce azzurro, è ricco di Omega 3 e già oggi si producono diversi cosmetici e integratori alimentari a base di questo acido grasso molto salutare, ma il “sotto-taglia” può anche utilizzato come biomassa e per produrre biogas.
Tuttavia l'ottimismo di Federcoopesca non è condiviso da tutti. “Che io sappia non c'è alcuna filiera legata al sotto-taglia. E ad oggi non sappiamo neanche quanto ne viene sbarcato nei porti italiani. Credo che la maggioranza dei produttori lo rigetti in mare, anche se parliamo di quantità trascurabili” spiega Valentina Tepedino, direttrice del periodico di settore Eurofishmarket.
Ma non si tratta di gettare la croce sui pescatori: “Oggi i punti di sbarco sono numerosissimi e non sono dotati di depositi in grado di congelare il pesce sottomisura” continua Tepedino. La conseguenza è che i pescatori dovrebbero pagare di tasca loro lo smaltimento di una risorsa che non possono vendere.
La normativa europea offre opportunità interessanti per un settore in crisi come quello della pesca, sta però agli stati membri mettere i pescatori nelle condizioni per sfruttarle.
“Serve un miglior coordinamento, servono dei centri di raccolta e una logistica deputata. Questo sistema però, oggi il pescatore non riesce a supportarlo economicamente. E dunque va aiutato”
http://www.nationalgeographic.it/food/2017/03/11/news/dai_piccoli_pesci_mangimi_e_cosmetici-3453676/
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