In America il ginseng selvatico è raro e prezioso. E i raccoglitori abusivi sono ricercati quasi come gli spacciatori di droga
Poco dopo che il sole è sorto sulle le colline, nell'aria fredda ancora intrisa di nebbia, Jim Corbin apre bottega nel retro del suo pick-up color rosso ciliegia. Diverse volte alla settimana, questo impiegato del Dipartimento dell'Agricoltura del North Carolina riceve nel parcheggio di un negozio di alimentari nella cittadina di Sylva, sui monti Appalachi. Le indicazioni per il negozio sono semplici: "È l'unico in città", spiega Corbin.
Uno alla volta, si accostano vecchi camion, furgoncini bianchi scrostati e bivolumi malconce. Corbin si erge nei suoi due metri sormontati da un berretto da baseball dei Clemson, e saluta tutti per nome. Molti di loro, a settembre, vengono fin qui per chiedergli una firma sul modulo che permette la vendita legale di un bene prezioso che si nasconde nel sottosuolo: il ginseng americano.
La popolazione di questa pianta selvatica è in declino da anni, ma ora i numeri stanno crollando a causa della raccolta eccessiva e illegale per alimentare il mercato della medicina tradizionale cinese. Nel frattempo, i prezzi sono saliti a quasi mille dollari per mezzo chilo di ginseng.
Nel 1975, il ginseng americano (Panax quinquefolius) è stato inserito tra le
Alcune persone del luogo hanno cominciato a coltivare o conservare privatamente il ginseng. Si tratta della pratica che offre le migliori possibilità di mantenere vitale la specie, spiega Jeanine Davis, biologa vegetale della North Carolina State University, ma perfino i coltivatori devono temere i furti. "Il peggior nemico del ginseng è l'uomo", commenta Davis.
Come riconoscere il ginseng illegale
Al mondo ci sono undici specie di ginseng, usate storicamente da diverse culture per le loro proprietà medicinali. Il ginseng viene promosso come cura per qualsiasi cosa, dalla debolezza alla disfunzione erettile. In Cina la pianta è così popolare che molte delle specie asiatiche ora sono a rischio d'estinzione o gravemente minacciate.
Furono i gesuiti, nel Settecento, a scoprire il ginseng americano. Per le colonie del Nuovo Mondo il commercio delle radici, specie in cambio di tè cinese, rappresentò una notevole fonte di introiti. Daniel Boone, un famoso esploratore statunitense morto nel 1820, fece gran parte della sua fortuna con la vendita di questa pianta.
La tradizione di raccogliere il ginseng selvatico - detta "sanging" o "senging" - è ancora viva in gran parte della regione degli Appalachi.
Maggie Bowers è a Sylva per avere l'autorizzazione di Corbin per rivendere il ginseng che ha comprato dai raccoglitori. Lei stessa, da ragazza, era una raccoglitrice. "Mio padre andava in cerca di ginseng, e così mia madre", racconta con la sua strascicata parlata del sud. "E così facevano i loro genitori. Erano un po' di soldi in più che servivano a pagare le bollette... e per comprarci i regali di Natale".
Con una giacca mimetica di lana dai bordi rosa, una maglietta di un giallo brillante con davanti il logo commerciale ("Can U dig it? Maggie's ginseng") e un paio di pantaloncini da corsa, Bowers si è fermata da Corbin prima di recarsi al suo vero lavoro, una ditta di pulizie. Quand'era piccola, ricorda, molti dei suoi parenti mettevano il ginseng in bottiglie di liquore fatto in casa e ne bevevano un cucchiaio ogni mattina. "Cura ogni male", ride.
Prima di firmare il permesso, Corbin deve ispezionare la quarantina di chili di ginseng che Bowers intende vendere. Sono stipate nel bagagliaio della sua Toyota nera: borse di plastica trasparente piene di piccole radici color crema. Ciascuna pesa solo qualche grammo, e non è più grande di un dito. Corbin passa una torcia a raggi ultravioletti su ciascuna borsa, alla ricerca di bagliori della polvere arancione fluorescente usata dai ranger del Great Smoky Mountains National Park per marcare il ginseng che non deve essere raccolto. Se dovesse apparire un marchio arancione, vorrebbe dire che le radici sono state raccolte illegalmente su terreni pubblici.
"Io credo che bisogna comportarsi bene, e penso che anche i miei raccoglitori ci credano", commenta Bowers.
Ma la sua fiducia potrebbe essere mal riposta. Corbin trova una radice con tracce di arancione. Non abbastanza per sequestrarla, ma abbastanza per fare a Bowers una bella ramanzina, e per dirle di ripeterla ai suoi raccoglitori. Certo, l'impiegato non crede che questo basti a cambiare le cose: sa bene che molti raccoglitori illegali riescono a successo ad aggirare i controlli. "La maggior parte di ciò che viene raccolto proviene probabilmente da quest'area grigia".
Secondo il biologo James McGraw, della West Virginia University, che ha dedicato gran parte dei suoi studi al ginseng americano, solo il 6 per cento circa del ginseng americano in circolazione viene raccolto rispettando tutte le norme. La legge federale proibisce la raccolta della radice nei parchi e nelle foreste nazionali, ma alcune delle popolazioni di ginseng più grandi e in salute si trovano proprio negli oltre 100 mila ettari del Great Smoky Mountain National Park e nella vicina Pisgah National Forest. L'area è troppo vasta e inaccessibile per riuscire a contrastare la crescente raccolta illegale. Per questa ragione, una ventina d'anni fa Corbin e i ranger del parco hanno sviluppato il sistema di marcatura, che permette alla polizia locale di capire rapidamente se la radice è stata raccolta legalmente o meno. Il segreto è in una polvere multicolore che ha all'interno un piccolo chip GPS, in modo che si possa determinare la provenienza del ginseng, una prova chiave per le cause che vanno in tribunale. Inoltre, brilla "come una sigaretta accesa" sotto i raggi UV, spiega Corbin.
In alcune zone i guardiaparco cospargono il ginseng di polvere come questa, che brilla sotto la luce ultravioletta permettendo di identificare le radici raccolte illegalmente.
Fotografia di Carrie Arnold
Il ginseng, naturalemente, non si marchia da solo. Quindi ogni agosto, per una settimana, poco prima dell'inizio della stagione del ginseng, ranger del parco e volontari si disperdono per tutto il parco armati di boccette contenenti la polvere di Corbin. Il loro scopo è individuare le piante di ginseng nascoste nella ricca vegetazione, pulire ogni radice, strofinarvi delicatamente sopra un po' di polvere e poi seppellirla di nuovo. Il vice-ranger Joe Pond lo chiama "il blitz".
"Tutte quelle persone sparpagliate nel parco sono uno spettacolo incredibile da vedere", commenta. "In tanti aspettano tutto l'anno di partecipare".
I tagli al budget hanno fatto sì che i ranger del parco siano stati ridotti del 40 per cento, nonostante l'aumento della raccolta illegale di ginseng. Il risultato, spiega Pond, è che la sua squadra deve fare più affidamento ai metodi deterrenti, come la marchiatura delle radici. "Secondo me è molto efficace", afferma, sebbene sia difficile avere dati precisi su quanto funzioni effettivamente.
La vastità del parco, combinata all'asprezza del terreno, impedisce che vengano marchiate proprio tutte le radici. Molti dei raccoglitori abusivi sono cresciuti in queste foreste e hanno una profonda conoscenza del territorio, che non può essere eguagliata da nessun ranger, per quando addestrato. Inoltre, di solito sono straordinariamente resistenti, affrontano scoscesi passi di montagna con facilità, quando il caldo, l'umidità e i temporali terrebbero lontano chiunque altro. Il tutto in una zona che è da sempre afflitta da alti tassi di povertà, e oggi anche di tossicodipendenza.
Pond ricorda di aver accompagnato la polizia ad arrestare un raccoglitore abusivo recidivo: solo allora scoprì che viveva in un rifugio coperto da un'incerata, appoggiato alla casa dei suoi genitori, ormai in rovina. "Alcuni possono sparire nel bosco e sopravvivere per giorni", spiega.
Secondo Pond, il suo lavoro contro la raccolta iillegale del ginseng somiglia molto alla lotta della polizia contro il traffico di droga. Anche lui si serve di informatori per capire quale area è stata puntata, organizza la sorveglianza, e chiede mandati per analizzare i tabulati telefonici. Ha anche cominciato a usare immagini satellitari per individuare le zone del parco dove è più probabile che cresca il ginseng. Poiché è impossibile pattugliare ogni centimetro di parco, Pond sfrutta le sue conoscenza sulle abitudini dei raccoglitori per aumentare le probabilità di trovarli.
La raccolta illegale di ginseng resta un'attività prettamente maschile. Spesso i cacciatori si fanno accompagnare fino al parco da mogli e fidanzate e poi, terminato il lavoro, mandano loro un messaggio per farsi venire a prendere. La rete cellulare non copre tutto il parco, e anche le strade percorribili sono poche: alla fine non sono poi molti i punti da cui un raccoglitore può uscire con il suo bottino. Con un po' di discrezione e di fortuna, uno dei ranger di Pond o un poliziotto possono essere disponibili per arrestare il trasgressore quando sta per lasciare il parco.
"Circa tre volte su quattro, quando li prendiamo si mostrano collaborativi, e ammettono ciò che hanno fatto. Gli altri a volte sono più..." (Pond s'interrompe qualche secondo prima di finire la frase) "...difficili".
Se presi e dichiarati colpevoli, i raccoglitori abusivi possono essere condannati a una multa o persino al carcere. Lo scorso autunno, uno di loro, recidivo, è stato condannato a sei mesi. È stato rilasciato questa primavera, racconta Pond, ed è già stato rivisto più volte nel parco. "Sta raccogliendo radici illegalmente, ne sono sicuro", commenta. "Dobbiamo solo prenderlo".
Le radici di ginseng confiscate dai ranger sono usate come prova, poi vengono reimpiantate. Solo poche sopravvivono, ma è meglio di niente. Pond ammette che, sebbene trattare la raccolta illegale come un crimine serio scoraggi un po' di persone, la miglior possibilità per la sopravvivenza del ginseng sarebbe che le persone cominciassero a piantarlo e coltivarlo nelle loro terre. L'idea, conosciuta come "conservazione grazie alla coltivazione", è una delle poche a dare un vero aiuto, molto necessario, a queste piante.
Il sogno del raccoglitore abusivo
Subito oltre una stretta strada a due corsie con una serie di svolte che confondono, Sara Jackson perlustra la vigorosa foresta sulla sua proprietà alla ricerca di tracce di ginseng. Nel sottobosco verdeggiante, ogni pianta si mescola senza interruzioni alla successiva. Felci, fiori, e tulipiferi circondano spesso i germogli di ginseng. Jackson indica un punto dove con Martin, il suo compagno, ha piantato semi nel corso degli anni. "È il sogno più selvaggio di un raccoglitore abusivo, sbaverebbe a vederlo", commenta.
Jackson spiega con pazienza da cosa si può identificare il ginseng: gruppi di foglie a punta che virano al giallo nel corso delle stagioni, e un ciuffo di bacche rosso brillante. Oppure bisogna cercare le piante che più di frequente circondano il ginseng, come l'ortica e l'edera velenosa. "È come se le piante sapessero della presenza dei raccoglitori e cercassero di proteggersi", commenta Jackson.
Guardo l'angolo di terreno per qualche minuto, cercando di ricordare tutto quello che mi ha detto. Jackson mi porta qualche metro più in là e mi chiede di raccogliere una radice. All'inizio, fisso attonita il mare verde di fronte a me. "Quello?", tento d'indovinare, indicando un cespuglio con delle brillanti bacche rosse.
"Bel tentativo, ma quello è ciò che chiamiamo 'ginseng degli sciocchi'", mi risponde. "Quella è una pianta diArisaema".
Le rivolgo una sguardo per chidere aiuto, e lei mi dice di non preoccuparmi. "Anch'io ho avuto difficoltà a trovarlo, all'inizio".
Jackson e Martin mi conducono a una grande felce che nasconde una pianta di ginseng di medie dimensioni. I quattro gruppi di foglie la identificano come una pianta a quattro rami, una delle forme più giovani che però possono essere raccolte in modo sostenibile, perché hanno avuto abbastanza tempo per produrre i semi. Jackson stima che la pianta abbia fra gli otto e i nove anni.
Diversamente da altri raccoglitori, che usano la pala per prendere quante più radici possibili, Jackson scava con le dita, usando un piccolo cacciavite per allentare le radici delle altre piante e spostare i sassi. Meno di tre centimetri sotto lo strato di foglie del pavimento boschivo, Jackson scopre una macchia bianca cremosa sul morbido terreno scuro. Lavorando come un'archeologa che dissotterra preziosissimi resti, pulisce quanto più terriccio possibile dalla radice. Invece di quelle prevalentemente a forma di carota ispezionate da Corbin, questa ha tre lobi, ciascuno con lunghe fibre che spuntano dalle estremità.
Fermatasi per asciugarsi il sudore dalla fronte, Jackson spiega che nella medicina tradizionale cinese la forma della radice determina l'impiego che se ne fa. Una radice che assomiglia a una madre che culla il bambino può essere usata per aumentare la fertilità, mentre una che sembra un uomo che corre può servire per aumentare l'energia o la virilità. Le forme migliori fanno guadagnare di più, per cui lavora con particolare cautela per non danneggiare la radice. Dopo più di un quarto d'ora, finalmente estrae l'ultima.
Di ritorno a casa sua, spiega che, anche chiedere ai raccoglitori di ripiantare i semi della pianta è una nobile idea, non è neanche lontanamente sufficiente per salvaguardare il ginseng.
"I pochi raccoglitori che si prendono la briga di ripiantare i semi li lasciano nelle bacche, dove non possono germinare, o ne buttano una manciata in un buco nel suolo.. Qualcuno probabilmente lo fa nel modo giusto, ma neanche lontanamente allo stesso ritmo con cui la pianta viene raccolta", spiega.
I dati lo confermano. In uno studio pubblicato sul Journal of Ecology nel 1991, i ricercatori hanno dimostrato che solo dall'uno al 15 per cento dei semi diventa una piantina, e di queste solo dall'otto al 31 per cento riesce a crescere e diventare una pianta adulta. Le poche che riescono a sopravvivere verranno probabilmente raccolte illegalmente. Secondo i risultati di una ricerca pubblicata sulla rivista Biological Conservation, la pressione della raccolta illegale ha anche fatto sì che le radici mature siano molto più piccole.
Jackson e Martin raccontano di un loro amico che li ha chiamati disperato il giorno prima. Un gruppo di ragazzi del posto ha devastato un campo di ginseng che lui e la sua famiglia curavano da generazioni. Nell'arco di un pomeriggio, centinaia di anni di storia se n'erano andati.
Jackson dice che, per quel che ne sa, non ha subito furti di ginseng. Le piante sono relativamente vicine a casa sua, e ha due cani da guardia parecchio esuberanti. Ma sa che la sua fortuna non durerà. "Non me le hanno rubate finora, ma so che si tratta solo di una questione di tempo", commenta.
Uno dei problemi principali è che il mercato non fa differenze tra ginseng raccolto legalmente o meno, anche se tra i giovani cinesi si sta diffondendo una certa sensibilità ambientalista. Proprio come alcuni coltivatori di caffè e cacao che hanno cominciato a vendere i loro prodotti con il marchio "Fair Trade", Jackson vorrebbe creare un mercato per il ginseng raccolto in modo etico. Poco sembra essere cambiato nel comportamento dei raccoglitori abusivi, spiega Jackson, ma se fosse loro impedito di vendere ciò che hanno rubato, non avrebbero più una motivazione per continuare a farlo.
Se un mercato del genere potrebbe funzionare è ancora da vedere, ma Corbin e Pond sono pessimisti. "Credo che la specie possa riuscire a sopravvivere", commenta Corbin, "ma solo in zone davvero remote, dove è difficile trovarla".
http://www.nationalgeographic.it/natura/piante/2016/10/11/news/ginseng_a_rischio-3268185/
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