I nostri cugini prossimi avevano una struttura dell’orecchio interno diversa dalla nostra, ma il funzionamento era simile.
Una delle più vivaci discussioni della paleontologia riguarda la possibilità che l’uomo di Neanderthal (Homo neanderthalensis) fosse in grado di parlare come noi, con un linguaggio articolato, oppure si esprimesse come ce lo mostrano in tanti film... a grugniti.
Un’analisi ottenuta con la tomografia microcomputerizzata su un campione molto ampio di fossili di uomini di Neanderthal ha dato un significativo contributo alla discussione, chiarendo che sul fronte dell'udito i neandertaliani non erano molto diversi da noi.
MINUSCOLI. Un gruppo di ricercatori tedeschi e inglesi ha sottoposto ad analisi con la tomografia microcomputerizzata gli ossicini dell’orecchio (martello, incudine e staffa) di 14 fossili di uomo di Neanderthal, collegandoli anche alle strutture della base cranica, la parte del cervello dove sono annidate le componenti dell’udito.
I tre ossicini, che formano la cosiddetta catena, connettono il timpano al resto dell’apparato uditivo. Nell'articolo, uscito sulla rivista Pnas (in inglese), i ricercatori riportano di aver cercato anche di stabilire la funzionalità dei tre minuscoli resti, confrontandone le proprietà con quelle dell’apparato dell’uomo moderno e delle scimmie antropomorfe.
PERCORSO EVOLUTIVO. È risultato che le tre minuscole strutture dei nostri cugini estinti sono diverse dalle nostre. Questo significa che il loro udito era differente e, di conseguenza, che anche la parola poteva essere lontana da quella dei sapiens? Non è detto, affermano i ricercatori, perché i tre piccoli frammenti neandertaliani avevano comunque la stessa funzionalità dei nostri.
Queste somiglianze di funzione con leggere differenze di forma sono un esempio di quello che i biologi chiamano evoluzione convergente. I cervelli degli uomini di Neanderthal e di noi uomini moderni hanno avuto percorsi differenti, e hanno quindi forme diverse. L’apparato uditivo, e quindi gli ossicini, ha dovuto adattarsi all’ingrandimento differente delle scatole craniche delle due specie.
Nonostante siano leggermente diverse, quindi, le due catene di ossicini funzionano allo stesso modo e probabilmente hanno la stessa sensibilità ai suoni. Che poi anche l’altra faccia della comunicazione, cioè l’emissione di suoni, sia simile nelle due specie, è ancora tutto da stabilire.
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