Tanzania, la guerra sporca contro i bracconieri

Forze impiegate in un'operazione anti-bracconaggio nel 2013 in Tanzania sono state accusate di omicidio, stupro, tortura e furto. Fotografia di Frans Lanting
Le violazioni dei diritti umani avvenute nel corso delle operazioni anti-bracconaggio fanno temere che le nuove misure possano rimettere in pericolo le popolazioni che vivono vicine alle aree protette

Loota era al lavoro quando, la tarda sera di una domenica del 2013, un furgone pieno di militari si è fermato davanti alla sua macelleria di Tarangire, in Tanzania. I soldati sono saltati giù e si sono gettati contro un gruppo di adolescenti che stava giocando al biliardo dietro alla sua bancarella. I ragazzi sono scappati via, ma solo pochi sono riusciti a sfuggire all'arresto, sfilandosi le magliette mentre i militari li afferravano.

Il macellaio è uscito a vedere cosa succedeva proprio mentre i soldati stavano gettando un paio di ragazzi nel retro del furgone. Anche lui è stato arrestato. "Mi hanno preso a calci, buttandomi al suolo e poi gettandomi nel furgone, dove mi hanno calpestato e di nuovo preso a calci", racconta oggi a National Geographic. Nei giorni successivi Loota è stato trasferito da una stazione di polizia all'altra, per arrivare infine in un centro di detenzione nella Ngorongoro Conservation Area, un sito patrimonio dell'umanità dell'UNESCO vicino al Parco nazionale del Serengeti. Loota racconta che la gente del posto lo chiama "Guantanamo".

Qui tre militari gli hanno strappato gli abiti di dosso e lo hanno picchiato, mentre altri cinque, seduti, stavano a guardare e prendevano appunti. Loota racconta che si sono tolti le stringhe dagli scarponi e ne hanno stretto un'estremità attorno ai suoi genitali, l'altra attorno a un mattone che gli hanno tirato sulle spalle. Lo hanno obbligato a restare così per ore mentre lo interrogavano: "Chi uccide gli elefanti? Ne hai mai ammazzato uno?". "Mi sembrava di morire", ricorda l'uomo, che racconta la sua storia a patto che non venga pubblicato il suo cognome, perché ha paura di rappresaglie da parte del governo. "Ma se fingi di essere morto, ti picchiano più forte".

Loota è solo uno tra le centinaia di sospetti di bracconaggio trattenuti nel 2013, nel corso dell'operazione Tokomeza, un'offensiva nazionale contro la caccia di frodo agli elefanti. L'operazione ha coinvolto militari, polizia, milizie locali e la guardia forestale della Tanzania, con il compito di trovare e arrestare i sospetti dentro e intorno alle aree protette e alle riserve di caccia della nazione. Le retate hanno portato a gravi violazioni dei diritti umani. Ingiustamente accusato, Loota è stato poi assolto da un giudice.

Misure disperate

Tra il 2009 e il 2014, 65 mila elefanti, il 60 per cento della popolazione, sono spariti dalla Tanzania. La riserva del Selous, epicentro della crisi, ha perso in 40 anni il 90 per cento dei suoi 110 mila elefanti. Secondo un rapporto del 2016 del WWF, a questo ritmo entro il 2022 di elefanti non ce ne saranno più.

Nel disperato tentativo di salvare gli elefanti (e l'industria del turismo), il governo della Tanzania sta per adottare una nuova stratefia anti-bracconaggio che prevede l'impiego di armamenti, addestramenti e tattiche di guerra, e che si basa molto sulla raccolta di informazioni e l'intelligence per infiltrarsi ai vertici della catena criminale.

Poco dopo essere entrato in carica, nel novembre 2015, il presidente della Tanzania John Magufuli ha nominato un militare, il maggior generale Gaudence Milanzi, segretario permanente del Dipartimendo delle Risorse nazionali e del Turismo. A maggio, riporta la stampa locale, Milanzi si è detto a favore di una richiesta già avanzata dalla National Park Authority del paese: trasformare le pattuglie di guardiacaccia in forze paramilitari.

La Tanzania ha deciso di adottare queste nuove misure in un momento in cui stati e organizzazioni non governative, in tutto il continente, devono confrontarsi con gruppi organizzati di bracconieri sempre più sofisticati e ricchi di mezzi, e mentre entrambe le parti ricorrono sempre più spesso a tattiche militari.

Ogni anno, decine di guardie forestali in Africa restano uccise nell'esercizio delle loro funzioni. Spesso gravati oltre ogni limite e privi di fondi, i ranger hanno il difficile compito di proteggere la fauna selvatica da bracconieri pesantemente armati e dalle milizie coinvolte nel traffico d'avorio, di droga e di armi.

In risposta, alcuni paesi e ONG hanno cominciato ad armare i guardiacaccia e a usare nuove tecnologie di sorveglianza come droni, sensori e strumenti di intelligence avanzata (e, in alcuni casi, di intelligenza artificiale).

Secondo il gruppo di monitoraggio Small Arms Survey, che ha sede a Ginevra, anche Sudafrica, Kenya, Botswana, Camerun e Zimbawe hanno mobilitato le forze armate per contrastare il bracconaggio. "Oggi gli stati africani continuano a impiegare contro il bracconaggio strategie che prevedono il permesso di sparare a vista e i rastrellamenti indiscriminati nei villaggi e nelle aree protette", scrive Kristopher Carlson nel report del 2015 dello Small Arms Survey, intitolato In the lane of fire: elephant and rhino poaching in Africa. ("Sulla linea di fuoco: bracconaggio di elefanti e rinoceronti in Africa").

Un ranger del parco nazionale Serengeti, in Tanzania, esamina un arco e le frecce avvelenate lasciate da un bracconiere. Fotografia di Suzi Eszterhas, Minden Pictures
Accuse di torture, stupri e omicidi

I passati abusi dei diritti umani da parte delle forze anti-bracconaggio della Tanzania gettano una lunga ombra su una battaglia sempre più militarizzata. L'operazione Tozomeka è stata sospesa dopo poche settimane a causa delle accuse di omicidio, stupro, tortura e furti imputati alle forze anti-bracconaggio. Un'indagine parlamentare ha documentato le atrocità commesse contro gli abitanti dei villaggi, tra cui l'uccisione di 13 persone, e ha portato al licenziamento di quattro ministri del governo.

Le numerose richieste di intervista di National Geographic al Ministero delle Risorse naturali e del Turismo sono state rifiutate, e non abbiamo mai avuto risposta alle domande poste via mail riguardo alle accuse poste. La National Park Authority non ha risposto alle richieste d'intervista.

Anche dopo la fine dell'operazione, Loota è stato detenuto senza accuse formali. Quando è arrivato davanti alla corte non era in grado di reggersi in piedi, e sedersi gli era doloroso. Aveva i genitali gonfi e fratture multiple. Il giudice ha ordinato cure mediche, e Loota è stato ricoverato per un mese in ospedale. Una volta dimesso, è stato accusato di aver ucciso un elefante con due uomini che lui sosteneva di non aver mai visto. Ha passato un anno in prigione in attesa del processo, con una cauzione fissata a 20 milioni di scellini tanzaniani (poco meno di 9.000 euro), una somma per lui impossibile da pagare.

"Alla fine il giudice mi ha dichiarato innocente. Ha anche detto che potevo intentare una causa per i danni. Ma io non posso competere con il governo, perché sono molto povero", racconta Loota, che non hai mai avuto un risarcimento. Sono passati circa tre anni, e lui è rimasto impotente.

Un rapporto pubblicato dal Legal and Human Rights Centre (LHRC) documenta sette morti per mano delle unità anti-bracconaggio durante l'operazione Tokomeza. Tra questi c'era una donna, Emiliana Gasper Maro, che, secondo quanto riportato, è stata picchiata a morte perché suo marito era sospettato. Un'altra donna sarebbe stata stuprata da tre militari che la minacciavano con le pistole. I supervisori dei diritti umani sospettano che molti altri crimini non siano mai stati denunciati.

Pascience Mlowe, avvocato della LHCR e co-autore del rapporto, spiega che anche prima di Tokomeza la polizia corrotta arrestava spesso con accuse di bracconaggio gli abitanti dei villaggi ai margini delle riserve. "Per loro era un'opportunità di estorcere soldi", spiega. "Arrivavano in un villaggio, arrestare la gente e dire: 'Siete sospettati di bracconaggio'. La soluzione più semplice per essere liberati era pagare".

Un rapporto dell'LHCR del 2011 riporta diverse accuse di violenze inflitte dalle guardie forestali di Selous, tra cui quella di una persona che racconta che le guardie erano note per torturare i sospettati e poi abbandonarli da soli nelle riserve, dove rischiavano di venire aggrediti dagli animali.

Mlowe spiega che la tortura è spesso usata anche negli interrogatori per crimini diversi dal bracconaggio. Human Rights Watch ha denunciato le torture da parte della polizia su persone LGBTQ, tossicodipendenti e prostitute. La Tanzania non ha ratificato la Convenzione internazionale contro la tortura. L'avvocato precisa che dal 2013 non vengono riportati abusi. Ma teme che la nuova strategia anti-bracconaggio, basata sull'intelligence, possa riaprire le porte alle torture.

Avvoltoi appostati su un albero nel Tarangire National Park. Fotografia di Marc Moritsch, National Geographic Creative
I costi della conservazione

La casa di Loota non è lontana dall'ingresso del Parco nazionale di Tarangire, che vanta una delle più dense popolazioni di elefanti della Tanzania. Orde di turisti vi accorrono ogni anno, sperando di scorgere gli enormi e pesanti corpi grigi fra le praterie verdi e gialle che abbracciano il fiume Tarangire. Non è difficile che ciò avvenga, soprattutto durante la stagione secca, quando elefanti, giraffe, leoni, zebre, gazzelle e gli altri animali selvatici si radunano intorno alle ultime fonti d'acqua della zona.

Prima che questi animali dovessero iniziare a condividere il loro habitat con i turisti armati di binocolo, prima che i prezzi dell'avorio lievitassero in Asia orientale, prima che il governo della Tanzania impedisse alle popolazioni locali di accedere a questa terra, centinaia di comunità sopravvivevano grazie alle risorse naturali delle praterie. Per generazioni, le famiglie hanno coltivato, cacciato, allevato il bestiame e raccolto carbone di legna presso il Tarangire.

Solo pochi visitatori hanno contatti con gli abitanti delle zone intorno al parco, la maggior parte dei quali riceve poco o nessun beneficio nel turismo. Invece, gli abitanti hanno dovuto affrontare arresti indiscriminati, sorveglianza, violenze ed estorsioni da parte delle forze dell'ordine.

Robert Mande, un ufficiale che dice di aver progettato l'operazione Tokomeza, nega che gli abusi siano mai avvenuti. Sostiene che gli ufficiali governativi abbiano fabbricato queste storie per screditare l'operazione, perché le unità si stavano avvicinando troppo agli ufficiali corrotti ai vertici del contrabbando.

Delle persone uccise nel periodo di Tokomeza, Mande afferma che "non sono stati uccisi intenzionalmente, ma durante scontri a fuoco nel corso dell'operazione". L'affermazione però contraddice i risultati dell'indagine parlamentare e dei rapporti di LHCR, che documentano pestaggi e torture di persone disarmate.

Durante l'operazione Tokomeza, Made era a capo delle forze dell'ordine alla Ngorongoro Conservation Area, dove erano detenuti Loota e altri. National Geographic ha parlato con altre due persone che dichiarano di aver subito torture nella "Guantanamo" africana. A luglio, i giornali locali hanno riportato che Mande era stato nominato vice direttore dell'unità contro il bracconaggio del Tanzania Forest Service.

Mlowe spiega che molti degli autori degli abusi dell'operazione Tokomeza non sono stati denunciati né rimossi dalle cariche. E i difensori dei diritti umani temono che la militarizzazione della tutela della fauna finisca per danneggiare soprattutto gli abitanti dei villaggi vicini alle riserve. Di nuovo.

http://www.nationalgeographic.it/natura/animali/2016/09/20/news/tanzania_antibracconaggio_violenze-3241063/

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Mondo Tempo Reale è il blog che dal 2010 vi racconta le notizie più incredibili, strane, curiose e divertenti: fatti imbarazzanti, ladri imbranati, prodotti assurdi, ricerche scientifiche decisamente insolite.
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