Quei quadri dipinti con mummie tritate



Fino all'inizio del secolo scorso molti pittori hanno usato il "bruno di mummia", un pigmento fatto anche con resti umani mummificati

La libertà che guida il popolo (nella foto), il dipinto più famoso di Eugene Delacroix, ha un posto d'onore nel museo del Louvre, a Parigi. Ispirato alla rivoluzione di luglio del 1830, è uno dei simboli dell'identità nazionale francese. Il primo ministro Manuel Valls l'ha persino usato come arma polemica per difendere il divieto di indossare il burkini su alcune spiagge.

Quello che pochi sanno è che per dipingerlo potrebbero essere stati usati, letteralmente, dei cadaveri. A partire dal Cinquecento, e fino almeno all'inizio del secolo scorso, sulle tavolozze dei pittori europei - Delacroix compreso - si poteva trovare un pigmento composto da pece, mirra e resti macinati di mummie umane o di gatto. Si chiamava bruno di mummia e gli artisti lo apprezzavano per la sua tonalità ricca e trasparente. Il risultato di questa preferenza è che un numero imprecisato di antichi Egizi sta passando l'aldilà sulle tele, facendosi involontariamente ammirare nei musei di tutto il mondo.

Mummie per la medicina e per l'intrattenimento

L'utilizzo delle mummie per farne pigmenti colorati origina probabilmente da un loro impiego ancora più strano. Fin dal primo Medioevo, in Europa si diffuse l'usanza di ingerire o preparare impacchi con "preparato di mummia" per curare un'ampia varietà di disturbi, dall'epilessia ai dolori di stomaco. Non è chiaro se le mummie egiziane fossero ricercate a causa dell'errata convinzione che contenessero bitume (il termine arabo che indica l'appiccicosa sostanza organica, che si credeva avesse proprietà medicinali, è infatti mummiya), o perché si credesse che avessero poteri ultraterreni.

Comunque sia, gli storici hanno accertato che i primi pigmenti furono derivati dalle antiche medicine: non a caso venivano anch'essi venduti nelle antiche farmacie europee. Alla fine del Settecento, quando l'impiego medicinale delle mummie stava passando di moda, l'invasione dell'Egitto da parte di Napoleone scatenò una nuova ondata di "egittomania" in tutto il continente. I turisti si portavano a casa mummie intere, da esporre in salotto; c'era addirittura chi organizzava ricevimenti per invitare gli amici ad assistere al loro "sbendaggio". Nonostante tutte le leggi che ne vietavano l'esportazione, le mummie, sia umane sia animali, furono portate in Europa in grandi quantità, e utilizzate per gli scopi più vari, tra cui l'alimentazione dei motori a vapore, la fertilizzazione dei campi, e, appunto, la preparazione di colori per la pittura.

A quanto pare, l'offerta di mummie di qualità per la produzione di pigmenti cominciò a prosciugarsi solo all'inizio del Novecento. Ancora nel 1904, sul Daily Mail, apparve un'inserzione con la richiesta di una mummia "a prezzo contenuto". "Sicuramente", recitava l'annuncio, "la mummia di un monarca egiziano di 2.000 anni fa può essere usata per adornare un nobile affresco in Westminser Hall... senza offendere lo spirito del gentiluomo dipartito, o quello dei suoi discendenti".

La sala delle mummie del British Museum nel 1937. È possibile che resti di mummia siano stati impiegati anche per realizzare i dipinti esposti nello stesso museo
Ma gli artisti sapevano che cosa usavano per dipingere?

È probabile che molti pittori non si rendessero conto che il "bruno di mummia" era davvero fatto con le mummie: almeno così sostiene Gary Bowles, rappresentante della C. Roberson and Co, di Londra, storica ditta produttrice di colori e altri materiali per le Belle Arti. Nel catalogo della ditta, il bruno di mummia apparve fino al 1933; Bowles stesso ricorda di aver visto pezzi di mummia in negozio ancora nei tardi anni Ottanta. Ora però, assicura, "di bruno di mummia in giro non ce n'è più".

Nella sua autobiografia Qualcosa di me il grande scrittore Rudyard Kipling racconta di una giornata trascorsa assieme a due pittori preraffaeliti: Edward Burne-Jones (che era anche suo zio), e Lawrence Alma Tadema. Fu quest'ultimo a svelare al collega che il bruno di mummia era effettivamente fatto con antichi resti umani; orripilato, Burne-Jones corse a prendere il suo tubetto di colore e andò a seppellirlo in giardino. "Uscì in pieno giorno con il tubetto di bruno di mummia in mano", scrisse Kipling, "dicendo che aveva scoperto che era fatto di faraoni morti e che gli andava data degna sepoltura".

"Alma Tadema era un cliente importante della Roberson all'epoca in cui tritavano le mummie per farne colori, alla metà dell'Ottocento", spiega Sally Woodcock, ricercatrice e curatrice delle pitture al Roberson Archive del Fitzwilliam Museum dell'Università di Cambridge. "È molto probabile che avesse assistito alla preparazione del pigmento". La cosa curiosa, fa notare Woodcock, è che diversi artisti dell'epoca, tra cui lo stesso Alma Tadema, dipingevano quadri a tema egizio. "Sarebbe interessante scoprire se usavano le mummie per dipingere altre mummie", scherza.

Perché il bruno di mummia resta un mistero

Anche se sappiamo che il bruno di mummia era un pigmento venduto in negozio e comprato dai pittori, resta praticamente impossibile determinare scientificamente quali dipinti siano stati realizzati con questo colore, anche avvalendosi di mezzi di indagine come la spettrometria di massa.

Le poche ricette per la preparazione del pigmento giunte fino a noi sono molto diverse fra loro: alcune prevedono l'uso dell'intero corpo, in altre "solo i muscoli migliori". Inoltre, le tecniche di mummificazione cambiarono nel corso dei secoli: a seconda del periodo vennero usati oli, resine ed elementi vegetali di origine diversa, spiega Alan Phenix, scienziato del Getty Conservation Institute.

"Tutti i prodotti che potrebbero essere state usati per l'imbalsamazione e il bendaggio, come il mastic (un tipo di resina), sono stati comunemente impiegati dagli artisti come vernici, leganti per i pigmenti o additivi, per cui è difficilissimo capire se la presenza di qualcuno di essi su un dipinto dipende dal bruno di mummia", spiega Barbara Berrie, capo della ricerca scientifica alla National Gallery of Art di Washington. "Molto probabilmente le caratteristiche molecole che identificherebbero ingredienti derivati dai mammiferi sono presenti in quantità minime".

L'uso di antichi Egizi imbalsamati per produrre pigmenti per la pittura è da tempo fuori moda; eppure ancora oggi risultano in vendita tubetti di colore "mummia trasparente". "Sono sicura che nessuno sappia più perché si chiama così", osserva Berrie. "Ma non penso che usino ancora le mummie per produrlo. O almeno, lo spero!".

http://www.nationalgeographic.it/popoli-culture/2016/09/19/news/mummie_per_i_dipinti-3238133/

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Mondo Tempo Reale è il blog che dal 2010 vi racconta le notizie più incredibili, strane, curiose e divertenti: fatti imbarazzanti, ladri imbranati, prodotti assurdi, ricerche scientifiche decisamente insolite.
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