Riportare i morti in vita, questo l’obiettivo quanto mai pretenzioso del progetto di ricerca della società biotech statunitense Bioquark Inc.,
già promosso a pieni voti e quindi approvato dal Governo americano. Ma a dispetto di quanto lascia presupporre un’affermazione shock come questa, si è di fronte a un discorso molto più complesso e molto meno affascinante.
Le autorità mediche statunitensi non solo hanno appoggiato il progetto ma hanno concesso alla Bioquark il permesso di reclutare (con permessi speciali ottenuti dalle famiglie) 20 pazienti clinicamente morti a seguito di una lesione cerebrale traumatica.
La terapia
Gli scienziati utilizzeranno una combinazione di terapie tra cui l’iniezione di cellule staminali e peptidi, unitamente a tecniche di stimolazione neuronale per verificare se esiste la possibilità di rigenerare il cervello delle persone clinicamente morte. In questo caso i 20 pazienti etici saranno mantenuti in vita da macchinari e monitorati per diversi mesi attraverso screening del cervello per cercare i segni della rigenerazione.
Il responsabile del team Dr Ira Shepherd ha precisato che l’auspicata rigenerazione del cervello cancellerà ovviamente la storia del paziente e che quindi la nuova attività cerebrale ripartirà da zero. Un progetto complesso e del tutto slegato da romantici ritorni in vita del caro estinto, che in questo caso altro non sarebbe che un corpo come tanti su cui tentare di generare nuova vita invertendo il processo della morte. In parole povere, l'individuo clinicamente morto rigenerato non avrà più la precedente identità ma sarà classificato come individuo X.
La creazione di un nuovo individuo
Il tema rasenta la fantascienza e si tinge di tinte torbide e inquietanti: l’individuo X chi sarà? sarà un neonato, cerebralmente parlando, cui insegnare tutto di nuovo? eticamente parlando: se riacquisterà capacità intellettive e motorie, quale sarà la sua identità? quella del morto o quella di un individuo senza storia precedente?
La puntualizzazione della Shepherd a tal proposito è piuttosto chiara: gli esseri umani in stato di morte cerebrale, anche se tecnicamente in vita, hanno un corpo che funziona (seppure artificialmente) completo di organi che a loro volta sono vitali e soprattutto in grado, eventualmente, di essere fecondati e portare a termine una gravidanza. I pazienti etici diventano quindi contenitori da cui attingere la vita.
Scopo di tutto questo, afferma Ira Shepherd, è di acquisire conoscenze unicheriguardo allo stato di morte cerebrale per affrontare stati di coma e vegetativi e patologie come Parkinson e Alzheimer. Riportare la vita nei morti, con queste premesse, rimanda inevitabilmente a questo:
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Riportare i morti in vita: il primo concreto progetto di ricerca
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