La reggia di Versailles nel 1668, dipinto di Pierre Patel.
Quanti libri sono statti scritti su Luigi XIV, più noto con l’appellativo luminoso di Re Sole, e sulla sua corte? Quanti film sono stati girati? Un’infinità, e c’è poco da fare: il fasto di Versailles affascina sempre. Come un Giano bifronte, la reggia dei sogni aveva due facce. Da una parte il lusso più sfrenato, i banchetti di Vatel, la raffinatezza dei concerti di Lully, i pezzi teatrali di Molière. Dall’altra le sofferenze del popolo francese costretto a pagare il prezzo di una monarchia assoluta che se ne infischiava se sulle strade di Parigi la gente moriva di fame, se i contadini erano vessati dalle angherie dei nobili. E poi Versailles è anche l’intrigo di corte. Ombre indecenti negli angoli bui di palazzo. E il re? Qual era la vera faccia del primo sovrano che realizzò una vera e propria “messinscena dello Stato”?
Nato da amori impossibili
Si sa bene che in qualsiasi Paese le corti reali erano covi di vipere, luoghi insani in cui si annidava l’intrigo che generava poi sospetto, timore, disgrazia. Alle spalle dei regnanti i cortigiani ordivano trame, spiavano e diffondevano calunnie. Così si chiacchierò anche sulla vita sessuale del povero Luigi XIII, il padre di Re Sole, che evidentemente non riusciva ad andare a letto con la moglie Anna d’Austria. Un re poco significante, una regina bigotta e infelice. Entrambi discendenti di grandi casate in cui dominava l’incesto. Sposati giovanissimi per motivi politici, come sempre accadeva. Un matrimonio voluto, senza amore. Ma ecco che, dopo anni, accade il miracolo: la regina è incinta. Com’è possibile?
Le malelingue di corte suggeriscono subito lo scandalo: il neonato non è figlio del re, dicono, ma frutto dell’abile cardinale Giulio Mazzarino, il vero architetto della politica francese. L’uomo del momento che più della religione amava la politica, le donne, il gioco, il lusso e le pietre preziose. Forse per metter fine a queste dicerie – che peraltro sarebbero state raccolte e pubblicate da diversi storici dei secoli a venire – si disse che il re a un certo punto avesse deciso di vincere la paura e sottoporsi a un’operazione chirurgica. Questo intervento focalizzato sul suo organo sessuale avrebbe eliminato il difetto fisico che gli aveva impedito di unirsi carnalmente alla moglie.
Nel frattempo il primogenito reale, che vide la luce nel 1638, assicurò la successione al trono. Anna tirò un sospiro di sollievo e lo battezzò con il nome di Louis le Dieudonné, Luigi il dono di Dio. Due anni dopo nacque il fratello di Dieudonné, Filippo, che coronò la vittoria di Anna su un destino inizialmente poco favorevole. Lo storico Peter Burke ha osservato che la messinscena caratteristica del regno di Luigi XIV ha avuto inizio con la sua nascita. L’appellativo di dono divino che l’aveva accompagnata non era che il preludio alla creazione di un mito. Luigi aveva qualcosa in più degli altri sovrani, del padre e del fratello. Lui era per nascita un miracolo, un dono di Dio. Soltanto cinque anni dopo Luigi XIII morì e il piccolo Dieudonné salì al trono. Luigi XIV.
Un bambino speciale: avvolto nel classico manto di ermellino dei re di Francia, quello foderato con una sontuosa stoffa blu trapunta di gigli d’oro, con la croce dell’Ordine dello Spirito Santo sul petto, seduto sul trono, lo scettro in pugno. Un ragazzino imperioso. Non erano che i primi passi di un grande attore sul palcoscenico della storia. Forse già allora Luigi XIV si rese conto dell’importanza della messinscena, quando vide le prime statue che lo ritraevano – lui, un bambino! –con un’armatura da antico romano addosso, il piede nell’atto di calpestare un prigioniero di guerra, mentre i lunghi boccoli biondi gli scendevano fin sopra le spalle. Era l’inizio. Si lavorava alla sua immagine futura, quella che avrebbe dovuto accecare tutti, impressionare e affascinare, intimorire, avvolgendolo in uno splendore semidivino. Il giorno in cui la sua voce e la sua penna avrebbero segnato la politica francese. Al momento, però, il destino di Francia era nelle mani di qualcun altro. Del geniale Giulio Mazzarino.
Lo storico Pierre Gaxotte scrisse che Sua Eminenza il cardinale aveva prolungato l’adolescenza del re il più possibile. Probabilmente per avere via libera al timone della nazione, di certo per attingere indisturbato alla cassa dello Stato e forse anche per accedere nottetempo agli appartamenti della regina. Ma non solo questo. Il giovane Luigi XIV, il dono di Dio, non sembrava essere per nulla interessato alla politica. I suoi contemporanei lo descrissero come una persona gelida, distaccata, introversa, interessata più ad apparire che a governare.
Si temeva davvero che quel ragazzo dagli occhi chiari e i lineamenti tipici degli Asburgo non sarebbe stato in grado di dirigere la grande nave della Francia sul mare in tempesta. Perché le tempeste c’erano. Come quella della Fronda, che si manifestò dal 1648 al 1653 durante l’infanzia di Luigi, una reazione del popolo infuriato contro la politica di Mazzarino. I disordini della Fronda spaventarono a morte il re e la sua famiglia, costringendoli a fuggire da Parigi. Un’esperienza che il sovrano non avrebbe mai dimenticato.
Versailles: il Cardinale è morto, lunga vita al Re
Com’era fisicamente il giovane Luigi XIV? I cortigiani lo descrissero così: di statura media, una figura robusta dalle spalle larghe, i lineamenti piacevoli, gli occhi di ghiaccio. Sembrava non soffrire il freddo, né la pioggia. Amava la caccia, il lusso, i banchetti e le feste. Non gli piaceva star fermo, sempre doveva essere in movimento, intento a qualche occupazione, fosse anche il gioco della palla o una lunga passeggiata a piedi. Quando lasciava le sue residenze di Parigi, Fontainebleau o Saint-Germain-en-Laye per recarsi nella campagna, una schiera di carrozze piene di giovani dame trepidanti lo seguiva. Il re amava molto la compagnia femminile e, fedele al suo gusto per il lusso sempre e dovunque, esigeva che le belle si presentassero costantemente agghindate dalla testa ai piedi, ingioiellate, invitanti. E che mangiassero con appetito alla sua tavola perennemente imbandita.
È ovvio che un re del genere facesse gola alle dame in cerca di una carriera rapida. Tutte lo seguivano, tutte lo circondavano, tutte lo volevano. Il primo amore di Luigi ventenne fu un buco nell’acqua. Marie Mancini, la bella nipote di Giulio Mazzarino. Per la prima volta nella sua vita il re s’innamorò davvero, fino al punto di voler sposare la giovane. Ma quest’intenzione si scontrò subito con i piani della regina madre Anna che voleva vedere sul trono una principessa di sangue reale.
Fu Mazzarino a salvare capra e cavoli, facendo sparire la nipote Marie in un convento e organizzando il matrimonio con l’infante Maria Teresa d’Austria. Luigi fu costretto a incassare il colpo. La pallida Maria Teresa prese posto al suo fianco sul trono di Francia. Una creatura dolce e remissiva che avrebbe accettato in silenzio tutti i tradimenti del marito diventando lo zimbello di corte. Perché il re che amava le donne non intendeva perderne nemmeno una. Passava da un letto all’altro come si passa dal primo al secondo piatto.
Divertimenti e donne. Poi ci fu una svolta radicale nella vita di Luigi. Il momento di gloria, quello vero, giunse alla morte di Giulio Mazzarino. Fu allora che il re, sorprendendo tutti i suoi ministri, decise di prendere in mano le redini dello Stato. E scoprì di trovar piacere in quella nuova occupazione, tant’è vero che nelle sue memorie scrisse:
“Iniziai a posare lo sguardo sulle diverse faccende di Stato. Non fu uno sguardo indifferente, ma quello di un sovrano.”
Un sovrano come Luigi XIV, signore della messinscena, aveva bisogno di una reggia che superasse per il suo splendore qualsiasi altra reggia del suo tempo e che gli permettesse – cosa non certo meno importante – di meglio controllare i nobili sempre pronti a ordire qualche complotto. Questa esigenza portò alla formazione e allo sviluppo di un potente servizio segreto di informatori che spiavano le mosse dei cortigiani e poi riferivano al re. Luigi XIV, sovrano perfetto, si presentava così: informato su tutto. Impossibile sfuggire al suo occhio onnipresente. Impossibile sapere quando una mancanza sarebbe giunta al suo orecchio semidivino e quando la mano reale avrebbe colpito con una punizione esemplare. I ritratti del re inseguivano il suo popolo dovunque: dall’alto dei monumenti che lo rappresentavano, dalle miniature e pitture, dalle monete.
Lo stesso complesso reale di Versailles era il suo ritratto in pietra, nato da un piccolo castello di caccia con appena venti camere circondato dalla natura. Sicuramente fu ispirato dal delizioso castello di Vaux-le-Vicomte, quello dell’ex sovrintendente alle Finanze Nicolas Fouquet. Colui che cadde in disgrazia, accusato di peculato e alto tradimento. Ma il gusto raffinato di Vaux fu sovrastato da una reggia senza eguali, sempre più grande, sempre più lussuosa e dominante. Durante tutta la vita di Luigi Versailles continuò ad essere un cantiere. La principessa palatina Liselotte von der Pfalz, che sposò il fratello del re dopo la morte della prima moglie di questi, scrisse nelle sue memorie: “Di continuo si costruiscono nuovi edifici o si ampliano i vecchi.” Doveva essere una messinscena bizzarra, quella di Versailles. Splendidi palazzi accanto a impalcature a perdita d’occhio.
Amori, amori e ancora amori
Il re però era soddisfatto. Vedeva realizzarsi il suo sogno, nonostante abbia iniziato ad abitare regolarmente nella reggia di Versailles soltanto dalla metà della sua vita. Ma già prima, durante la costruzione, negli ampi giardini venivano organizzate feste e banchetti. Intanto Luigi, circondato ovunque dalla bellezza, innalzò il sole a suo simbolo personale. Il sole, un elemento ricorrente nel castello di Vaux. Intorno a lui, come pianeti in cerca di luce, le sue amanti. Una delle prime protagoniste a fianco del giovane sovrano fu Enrichetta d’Inghilterra. Ufficialmente questa principessa, sorella del re d’Inghilterra, era moglie di suo fratello Filippo. Ma Filippo non sapeva che farsene, essendo dichiaratamente omosessuale. E mentre Filippo si divertiva con i bei giovani di corte – primo fra tutti il cavaliere di Lorena – Luigi consolava l’infelice Enrichetta.
Ovviamente era necessario dare al rapporto fra il re e la bella cognata una parvenza di decoro per non ridicolizzare troppo il fratello del sovrano che già faticava a gestire le sue relazioni omosessuali. Si cercò allora una giovane dama di corte che fungesse da amante del sovrano per distogliere l’attenzione da Enrichetta. La scelta cadde sulla dolce Louise de La Vallière, una piccola nobile di campagna. Il trucco funzionò talmente bene, che Luigi s’invaghì di Louise e finì per lasciare Enrichetta al suo destino. Dopo la morte della madre Anna d’Austria, il re fece subito di Louise la sua maîtresse, le assegnò il titolo di duchessa, legittimò la figlia avuta con lei. Ma La Vallière non era fatta per essere la maîtresse di un re. Timida, bigotta, troppo sensibile. Noiosa.
Ben presto il re ne ebbe abbastanza e iniziò a posare lo sguardo sulla prossima candidata, Athénais de Montespan. La regina dell’esprit. Una donna che inizialmente non lo aveva impressionato molto e tuttavia era sempre presente a corte perché amica di Louise de La Vallière. A forza di vederla, per amore o per curiosità, il sovrano cominciò ad apprezzare il suo carattere libero, lo spirito burlone che scherzava su tutto e tutti, il fascino indiscreto che la portava a ricevere gli ospiti mezza svestita in camera da letto, il suo amore per il gioco e gli strali mordaci che la sua bella bocca pronunciava contro i nemici.
Il favore del re arrivò e Madame de Montespan non attendeva altro. Non era sentimentale, questa professionista della messinscena, sapeva incassare i colpi con grazia e aveva un grande vantaggio: non temeva per nulla il re. Inoltre si adattava perfettamente ai disagi che tutte le preferite del sovrano dovevano sopportare. Lunghi viaggi in carrozza con i finestrini costantemente aperti anche d’inverno senza poter scendere per fare i propri bisogni; cura estrema della persona in qualsiasi frangente; presenza continua a pranzi, cene e banchetti mangiando, mangiando, mangiando per non dispiacere al re; dimostrazione di ottima salute senza mai rivelare la minima indisposizione e padronanza dell’etichetta: non scherzare né ridere mai in presenza del re (quest’ultimo scoglio fu tuttavia eliminato da Athénais grazie al suo umorismo fuori dal comune che finiva per far ridere di gusto anche il sovrano).
Nel giro di qualche anno, Athénais de Montespan non aveva rivali: la bella Enrichetta morì all’improvviso nel fiore degli anni (si disse fosse stata avvelenata dal cavaliere di Lorena amante di suo marito Filippo), la remissiva Louise de La Vallière prese la via del convento. Le altre favorite erano soltanto amori passeggeri del re, brevi intermezzi privi d’importanza. E la povera regina, Maria Teresa, non contava nulla. Innamorata del marito a oltranza, veniva ignorata o addirittura presa in giro dai cortigiani per la sua distrazione e la sua semplicità. Come quando inciampava sui tacchi altissimi e piombava a terra nel gorgo delle gonne di seta imprecando fra sé e sé.
Ma anche la gloria di Madame di Montespan giunse alla fine. Ingrassata a dismisura a forza di compiacere a tavola l’esigente amante – non riusciva nemmeno più a uscire dalla carrozza -, fu costretta a lasciare il posto alla severa Madame de Maîntenon, l’ultima stella fra le favorite. Amica della Montespan, questa cortigiana portava inizialmente il nome meno pomposo di Madame Scarron e iniziò ad avvicinarsi al re con una tattica speciale. Divenne la governante di suo figlio prima e dei suoi nipoti poi. Più furba delle rivali, Madame Scarron aveva capito che per essere la vera compagna del re era necessario offrire qualcosa di più di un paio di begli occhi.
Era necessario instaurare un legame profondo, intenso. L’educazione dei figli. La materia religiosa. Una sorta di affinità spirituale. Passo dopo passo, la Scarron riuscì ad avvicinare Luigi XIV alla Chiesa. Con il passare degli anni e l’influsso di questa donna, il re divenne un vero bigotto. Lei, l’insignificante Scarron, si trasformò intanto in Madame de Maîntenon e dopo la morte dell’infelice Maria Teresa d’Austria non fu soltanto la maîtresse del sovrano, ma – così si mormorava a corte – addirittura la sua consorte segreta. Temuta quanto il re, Madame de Maîntenon, faceva a corte il buono e il cattivo tempo.
Le indiscrezioni. Nei corridoi e nelle anticamere
La luce di Re Sole prese a incupirsi con la vecchiaia incalzante. Feste e banchetti lasciavano il posto alle messe celebrate nella cappella reale di Versailles. Invece il capolavoro della corte dei sogni raggiungeva il massimo splendore. La messinscena che accecava nobili e postulanti nascondeva così il segreto delle stanze, degli angoli bui, del tradimento. Ma i cortigiani di Luigi XIV, grandi esperti nell’arte di scrivere memorie – una moda dell’epoca – ci hanno lasciato le loro impressioni e tramandato qualche particolare interessante. Era davvero tutto raffinatezza nella reggia più celebre del mondo?
Evidentemente no, come raccontano Madame de Sévigné, il duca di Saint-Simon e la principessa Liselotte von der Pfalz, seconda moglie del fratello del re. Già la descrizione di suo marito Filippo contrasta con il decoro di questi nei ritratti:
“Era un uomo piccolo e panciuto che sembrava camminare sui trampoli, tanto alti erano i tacchi delle sue scarpe, sempre agghindato come una donna, pieno di anelli, bracciali, collane, con una parrucca nera e ciocche dappertutto, in qualsiasi posto potesse mettersele, se le metteva”.
E poi ci sono le confidenze in cui Liselotte si lamenta con i lontani parenti tedeschi della situazione a corte. D’inverno in quelle stanze enormi faceva un gran freddo, a poco valeva il fuoco dei caminetti. Addirittura si ghiacciava il vino a tavola, nei bicchieri di cristallo. L’atmosfera era gelida. Tutti avevano paura di essere spiati. La diffidenza regnava sovrana. In ogni stanza le pareti nascondevano occhi e orecchi. Una vita privata non esisteva. E dappertutto imperava la sporcizia.
A quanto pare, dame e cavalieri non avevano nessun problema, durante le lunghe attese nell’anticamera del re, a fare i propri bisogni in qualche angolo dei lunghi corridoi. Dopo mesi di presenza costante di centinaia di persone nella reggia sei sogni, la corte doveva trasferirsi al castello di Marly per sfuggire ai miasmi di quella gigantesca latrina che era divenuta Versailles. Per non parlare poi della brutta mania dei cortigiani di soffiarsi il naso con i tendaggi di palazzo, o delle abitudini di certe principesse che, approfittando delle ampie gonne, si facevano fare un clistere negli appartamenti del re, durante un concerto di Lully.
Anche i veleni circolavano mietendo vittime. Dopo la strana morte di Enrichetta d’Inghilterra, ci fu quella altrettanto sospetta del capo della polizia parigina Daubray, che sarebbe stato avvelenato dalla moglie. In polvere o liquido, il veleno era un’ottima arma per sbarazzarsi di persone indesiderate senza dare nell’occhio. All’epoca un’analisi chimica delle sostanze non era possibile, almeno non come la conosciamo oggi. Arsenico e antimonio si rivelarono essere i veleni più in voga. Venivano somministrati tramite clisteri, andavano ad impregnare gli abiti dei malcapitati o venivano introdotti in qualche pietanza o bevanda.
Nel 1676 scoppiò lo scandalo del “processo dei veleni”, la cui protagonista fu la marchesa di Brinvilliers, una parigina nota a tutti per le sue opere di beneficenza. Il problema principale erano le relazioni di questa donna, che giungevano sino a importanti personalità di corte. Tutti la conoscevano, tutti potevano approfittare dei suoi servigi. L’apparentemente innocua Brinvilliers aveva avvelenato il padre accudendolo amorevolmente durante otto mesi di terribile agonia, si era sbarazzata dei suoi due fratelli e stava per far fuori anche il marito, non fosse stato che il suo amante e complice si rifiutò di consumare il delitto e la denunciò. Madame de Brinvilliers fu processata e condannata a morte.
A corte si tirò un sospiro di sollievo, ma il pericolo dei veleni era sempre presente. E poi si parlava sottovoce della Maschera di ferro, il misterioso prigioniero rinchiuso da decenni a Santa Margherita e poi alla Bastiglia, un segreto di Stato che nessuno, nemmeno la curiosa principessa palatina, riuscì a svelare. Si mormorava di chi cadeva in disgrazia presso il re o la sua maîtresse senza nemmeno essersene accorto, e poi una lettre-de-cachet (mandato d’arresto) lo faceva sparire per sempre dietro le sbarre di una prigione.
Nel settembre 1714, Luigi XIV aveva settantasei anni. Era un uomo corpulento che nascondeva la calvizie sotto un’ampia parrucca, quasi sempre vestito di nero o di marrone scuro. Quella mattina, dopo aver preso parte come sempre al consiglio nel castello di Marly, il re si lamentò di avere dei dolori alla gamba. Nei giorni seguenti la situazione peggiorò, fu diagnosticata una gangrena che lo avrebbe portato alla morte.
Con lui finiva un’era di gloria per la Francia. Durante il suo regno, la nazione si era affermata come potenza militare ed economica e come importante presenza culturale in tutta Europa. Versailles, il capolavoro di messinscena teatrale di Re Sole, avrebbe continuato ad ospitare i suoi discendenti fino alla tragica fine della monarchia. Il suo regno era stato uno dei più lunghi della storia. Luigi XIV poteva spirare in pace. Negli ultimi attimi di vita lo assisteva la moglie morganatica, Madame de Maîntenon. Seduta al capezzale nel suo abito nero, il capo coperto da un velo, lo guardava con gli occhi pieni di lacrime. Pragmatico come sempre, Luigi le disse: “Perché piangete? Avete forse creduto che io fossi immortale?”
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