L’11 dicembre la Cina entrerà a far parte dei paesi con economie di libero mercato. Un riconoscimento tutt’altro che accademico, con conseguenze pratiche tangibili e, probabilmente, drammatiche per molti settori industriali dell’Occidente.
Le storie di chi ha perso il posto di lavoro nel settore dell’acciaio sono ormai all’ordine del giorno e riguardano un numero crescente di lavoratori sparsi un po’ ovunque nei paesi sviluppati.
Non è una novità che il mercato dell’acciaio sia ciclico, con periodi di espansione e periodi di contrazione che comportano drastici tagli, resi più drammatici dal gran numero di occupati nell’industria siderurgica. Tuttavia, le cose erano molto diverse fino al 2008, cioè fino a quando i mercati globali non hanno cominciato a schiantarsi e la Cina ha iniziato a far pesare la forza della sua industria dichiarando, di fatto, guerra commerciale all’Occidente.
Alla fine di quest’anno, l’11 dicembre, la Cina riceverà il Market Economy Status (MES), cioè lo status di libero mercato, esattamente come l’Unione Europea e gli Stati Uniti. Ciò comporterà per tutti i paesi importatori di semilavorati o di prodotti industriali cinesi, l’impossibilità di imporre dazi e tariffe protettive contro eventuali azioni di dumping.
La crescita economica cinese negli ultimi vent’anni ha reso il paese il più grande produttore di acciaio, alluminio e altri materiali impiegati nell’industria. Purtroppo, il rallentamento economico in atto ha creato un eccesso di capacità globale di acciaio che ha ormai superato i 700 milioni di tonnellate. La produzione di alluminio della Cina è passata dall’11% della produzione mondiale nel 2000 a oltre il 50% di oggi.
Ma l’economia cinese, per il ruolo attivo che il governo continua a rivestire, non funziona come in gran parte del resto del mondo e il paese riesce ad offrire i propri prodotti a prezzi molto più bassi di quanto non riescano a fare i suoi concorrenti. Perciò, molti l’hanno accusata di dumping e, nel solo 2014, la Cina è stata oggetto del 55% di tutte le inchieste antidumping a livello mondiale.
Molti sostengono che la Cina non è un’economia di mercato. I prezzi dei terreni, in particolare, sono soggetti al controllo del governo, causando distorsioni nei prezzi in tutto il paese. Il governo cinese continua ad esercitare un controllo sui prezzi dei trasporti, dell’energia, delle utilities e del credito. Secondo un’analisi del Wall Street Journal, nel solo 2015, il governo cinese ha aiutato quasi 3.000 imprese, con un esborso di più di 119 miliardi yuan (18 miliardi di dollari). Non esattamente quello che si intende per economia di mercato…
Tuttavia, ora che si avvicina il momento in cui verrà considerata una economia di mercato, secondo le regole del WTO (World Trade Organization), le cose si complicano parecchio per i produttori, importatori e distributori occidentali.
Settori come quelli dell’acciaio e dell’alluminio in Occidente potrebbero dover pagare un conto ancora più salato rispetto ad oggi, con la perdita di molti altri posti di lavoro e la chiusura di fabbriche.
Lo status di economia di mercato per la Cina potrebbe risultare incompatibile con l’obbiettivo di crescita economica, preservazione di posti di lavoro e conservazione dell’ecosistema del commercio mondiale.
Come in tutte le guerre, commerciali in questo caso, ci sarà con ogni probabilità un solo vincitore e sarà lui a dettare le nuove regole e le condizioni del commercio globale. Saranno regole scritte con ideogrammi cinesi?
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La guerra commerciale della Cina contro il resto del mondo
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