“Venni, tra gli altri io, attratto dal desiderio di visitare la casa della Sapienza, ardente di contemplare codesto Palladio, onde non mi vergogno di aver sopportato la povertà, la malevolenza e l’odio dei miei, le esecrazioni, le ingratitudini di coloro ai quali volli giovare e giovai, gli effetti di un’estrema barbarie e d’una avarizia sordidissima; (…) Per il che non mi duole d’essere incorso in fatiche, dolori, esilio: che faticando profittai, soffrendo feci esperienza, vivendo esule imparai; che trovai in breve fatica lunga quiete, in leggera sofferenza gaudio immenso, in un angusto esilio una patria grandissima (Oratio valedictoria, in Opere latine)”.
Giordano Bruno è stato un Mago nel senso più alto del termine, poiché ha trasmutato completamente la sua Filosofia in vita. Aveva chiaro, lo si evince dai suoi stessi scritti, il senso d’una missione che, mettendolo in lotta con il suo tempo, poteva chiamarlo, e lo chiamò, e scelte eroiche.
“Ho lottato, è molto; credetti poter vincere (ma alle membra venne negata la forza dell’animo)e la sorte e la natura repressero gli studi e gli sforzi. È già qualcosa l’essersi cimentati; giacché vincere vedo è nelle mani del fato. Per quel che mi riguarda ho fatto il possibile, che nessuna delle generazioni venture mi negherà; quel che un vincitore poteva metterci di suo: non aver temuto la morte, non aver ceduto con fermo viso a nessun simile, aver preferito una morte eroica ad una vita imbelle” (De monade, 1590).
Bruno poteva aver salva la vita, ma non abiurò, non rinnegò; consapevole dell’alto valore della sua morte, quale Sacrificio che dà vita alla Verità, con animo distaccato disse ai suoi giudici: “avete più paura voi nell’emettere la condanna, che io nel riceverla”.
Il nolano non fu tanto il martire del libero pensiero, come spesso viene ricordato, ma piuttosto il Testimone, l’ultimo grande, del pensiero libero. La sua azione, cioè, non si svolse tanto su di un piano esteriore, politico o meta politico, quanto piuttosto in una sfera interiore. Si sforzò di mostrare all’uomo la via che conduce all’unica vera Libertà, ricordarsi della propria origine divina.
In un’epoca insanguinata dalle guerre di religione, Bruno girò l’Europa per diffondere l’Ermetismo quale superiore ideale di Ricerca.
“Per ciò che si riferisce alle discipline intellettuali possa io tener lontano da me non solo la consuetudine di credere, instillata da maestri e genitori, ma anche quel senso comune che in molti casi e luoghi (per quanto ho potuto giudicare io stesso) appare colpevole di inganno e di raggiro; possa io tenerli lontani in maniera da non affermare mai nulla, nel campo della Filosofia, sconsideratamente e senza ragione; e siano per me ugualmente dubbie tutte le cose, tanto quelle che sono reputate astrusissime e assurde, quanto quelle che sono considerate le più certe ed evidenti, tutte le volte che vengono messe in discussione” (Epistola dedicatoria a Rodolfo II, in Articuli adversus mathematicos).
L’arte della memoria, di cui Bruno fu l’ultimo grande esponente, è in realtà una forma elevata di magia immaginativa, le cui complesse figure, traducendo i rapporti sottili che collegano il macrocosmo al microcosmo, sono, se intensamente realizzate, vere e proprie chiavi d’accesso ad altri stati della coscienza, sentieri che conducono alla contemplazione degli Archetipi viventi. Il pensiero immaginativo, magia inconsapevole dei bambini, è pensiero vivente, capace cioè di creare ed evocare Idee ed, in quanto tale, è la chiave della Scienza dei Magi.
“Non è dunque Filosofo, se non chi immagina e riproduce” (De triginta sigillorum).
L’importanza dell’immaginazione in Ermetismo ci viene confermata, tra gli altri, dal celebre esoterista napoletano Giuliano Kremmerz che, come Bruno, si richiamava alla medesima Sapienza egizia.
Sapienza che nella città partenopea, esattamente nella zona dove sorge il convento domenicano in cui il filosofo nolano studiò, ha avuto uno dei suoi principali centri di trasmissione. La mnemotecnica bruniana è la fonte della “magia astrale”, che insegna a padroneggiare la corrente delle immagini mentali, le cui conseguenze ultime non sempre vengono profondamente comprese.
Il segreto della volontà, la chiave operativa che conduce a trasmutare il desiderio in volontà magica, scrive infatti il Kremmerz, sta nella capacità di scolpire immagini vivide nel campo oscuro della mente.
Approfondire la natura della forza (la brama) che dal profondo muove, inconsapevolmente, l’immaginazione umana determinando tutto ciò che siamo, e di cui il Mago deve rendersi padrone, è un discorso che ci allontana dallo scopo di questi brevi note. Rimando, dunque, il lettore interessato ad approfondire questo fondamentale tema, a consultare lo scritto “La conoscenza delle Acque”, del kremmerziano Ercole Quadrelli (Abraxa), contenuto nel primo volume di Introduzione alla Magia del gruppo di Ur.
Sviluppando l’immaginazione, l’Ermetista giunge a prendere coscienza ed a padroneggiare, sciogliendo e coagulando, quella invisibile luce mentale, materia vibrate di cui sono fatti i pensieri ed i sogni, che i Magi chiamano astrale poiché sempre sfuggente. Questa Luce, nel suo polo più alto, è la Quintessenza che collega lo Spirito alla Materia; la chiave senza la quale non esiste Trasmutazione e l’Alchimia resta inganno di soffiatori, ance quando si veste di sofismi spirituali.
“C’è una sola semplice forma…la quale senza diminuzione si comunica a tutte le cose…Questa forma universale dell’essere è luce infinita…Attraverso questa forma, che in diversi modi si comunica ai diversi enti secondo diverse figure, si esplica la materia” (Sigillus Sigillorum) .
Giordano Bruno muore all’alba del 17 febbraio 1600. Poco tempo dopo, un altro filosofo, Cartesio, con il suo celebre cogito ergo sum giungerà a formalizzare l’ultima tappa dell’occultamento del principio spirituale nella sfera della materialità: la luce dell’immaginazione si vela nel pallido riflesso della ragione concettuale. Qui attende che il Cercatore ermetico vada a “liberarla”, percorrendo a ritroso il processo del pensiero logico fino a giungere a percepirne l’originario lampo intuitivo. Non a caso, ci suggerisce Rudolf Steiner, proprio in questo periodo riappare storicamente la corrente rosacrociana, che indicherà ai Filosofi le chiavi operative dell’Iniziazione dei nuovi tempi.
Cicada – chi dunque sarà savio, se pazzo è colui ch’è contento e pazzo è colui che è triste?
Tansillo – quel che non è contento, né triste.
Cicada – chi? Quel che dorme? Quel ch’è privo di sentimento? Quel ch’è morto?
Tansillo – no; ma quel ch’è vivo, vegghia ed intende; il quale considerando il male ed il bene, stimando l’uno e l’altro come cosa variabile e consistente in moto, mutazione e vicissitudine (di sorte ch’il fin d’un contrario è principio de l’altro, e l’estremo de ‘uno è cominciamento de l’altro), non si dismette, né si gonfia di spirito, vien continente nelle inclinazioni e temperato nelle voluptadi; stante ch’a lui il piacere non è piacere, come per avere presente il suo fine. Parimente la pena non gli è pena, perché con la forza della considerazione ha presente il termine di quella. Cossì il sapiente ha tutte le cose mutabili come cose che non sono, ed afferma quelle non esser altro che vanità ed un niente; perché il tempo a l’eternità ha proporzione come il punto a la linea.(…) Allora è in stato di virtude, quando si tiene al mezzo declinando da l’uno e l’altro contrario: ma quando tende a gli estremi, inchinando a l’uno e l’altro di quelli, tanto gli manca de esser virtude, che è doppio vizio; il qual consiste in questo, che la cosa recede dalla sua natura, la perfezion della quale consiste nell’unità; e là dove convegnono gli contrarii, consta la composizione e consiste la virtude” (Gli eroici furori).
Il Furioso, il Sapiente di cui parla Bruno, è come un funambolo che ad ogni passo deve ricostruire il giusto equilibrio tra i contrari. è questa sottile tensione che lo tiene “sveglio” permettendogli di scorgere la Verità nell’unico posto dove Essa, realmente, si palesa: nel centro dei rapporti. È qui, infatti, che, se non ci lascia distogliere dal gioco delle forme, è possibile scorgere la folgore della vita che continuamente rinasce dalla morte: lo Spirito; è qui che Atteone può scorgere Diana venire a lui tutta nuda e mostrargli Eros, dove carne e spirito sono uno, quale regale via d’accesso al Sacro.
Io che porto d’Amor l’alto vessillo,
gelate ho spene e gli desir cuocenti:
a un tempo triemo, agghiaccio, ardo e sfavillo,
son muto, e colmo il ciel de strida ardenti;
dal cor scintillo, e dagli occhi acqua stillo;
e vivo e muoio, e fo riso e lamenti:
son vive l’acqui, e l’incendio non more,
ché agli occhi ho Teti, ed ho Vulcan al core.
Altr’amo, odio me stesso;
ma s’io m’impiumo, altri si cangia in sasso;
poggi’altr’al ciel, s’io mi ripogno al basso;
sempre altri sfugge, s’io seguir non cesso;
s’io chiamo, non risponde;
e quant’io cerco più, più mi s’asconde.
(Eroici furori)
http://www.ereticamente.net/2016/02/leroico-furore-della-conoscenza-daniele-lagana.html
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