(di Mauro Faverzani) Ci si può esercitare in filosofie, cimentarsi in acrobazie dialettiche o sfoderare un arsenale di retorica; a parlar chiaro è, invece, il capo dell’esercito svizzero, il generale André Blattmann, nel suo intervento apparso sul giornale Schweiz am Sonntag. Dice apertamente che, ad esser messa oggi a rischio, è «la sicurezza della nostra società democratica, moderna, interconnessa»; che la crisi economica non deve compromettere le «strategie» difensive in un momento di massima recrudescenza della minaccia terroristica internazionale; che in ogni caso dobbiamo aspettarci quanto meno dei «disordini sociali».
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L’elenco che il generale Blattmann propone è di per sé già esaustivo: cita gli Stati che pilotano le rivendicazioni territoriali nel Mar Cinese meridionale e che alimentano le guerre nell’Europa dell’Est (si riferisce agli USA, ndr), parla del Medio Oriente in mano agli jihadisti e di un’Africa dimenticata dai media, in cui donne e bambini vengono ogni giorno sequestrati, violentati, aggrediti, uccisi. Nulla – dichiara il capo dell’esercito svizzero – può più essere sottovalutato: occorre «monitorare costantemente la situazione ed adottare tutte le misure del caso».
Proponendo alcune semplici, ma concrete domande: «Le norme di sicurezza sono ancora adeguate, per proteggere le nostre case o la sanità o gli anziani? Le reti informatiche ed i centri di elaborazione sono protetti da eventuali cyber-attacchi? Come proteggere i nostri averi da possibili crack del sistema monetario? Quali rischi e minacce dovremo affrontare nei prossimi anni?». Dopo la caduta del muro di Berlino, l’Occidente ha vissuto l’illusione di una pace – peraltro precaria –, quindi ha tagliato i fondi per la difesa, destinandoli altrove e compromettendo gli standard di sicurezza.
Non era il caso e la riprova è giunta ora: le manovre militari sono riprese, il potenziale bellico è stato rapidamente ricostituito, «ciò che oggi viene fornito con funzioni difensive, domani i poteri forti potrebbero utilizzarlo per altri scopi. È come nelle riunioni di condominio – afferma il generale Blattmann –. Quando un proprietario non sta alle regole, prima tira aria di tempesta, poi viene processato ed infine… Vista in quest’ottica, la comunità internazionale dipende a sua volta dal fatto che tutti rispettino le regole, se necessario rielaborando le soluzioni già negoziate. Ma… cosa accadrebbe, se unilateralmente qualcuno decidesse di non sedersi più al tavolo delle trattative?». «La Svizzera da oltre 160 anni non attraversa guerre, un autentico privilegio – osserva il capo dell’esercito elvetico –.
La guerra nei Balcani, tuttavia, risale a soli 20 anni fa. Le esperienze sono molto diverse», da regione a regione. «Anche se oggi non siamo ancora colpiti direttamente da eventi bellici, la minaccia terroristica è in crescita, vi sono guerre ibride nel mondo, le prospettive economiche sono cupe, si assiste a sbarchi imprevisti di flussi migratori di massa. Impossibile non stupirsene. Così, da una parte, alla crisi si aggiunge maggiore concorrenza sul mercato del lavoro, dall’altra dobbiamo sobbarcarci i costi degli aiuti. Inoltre, non si possono escludere disordini sociali; il vocabolario si fa pericolosamente aggressivo». Del resto, le differenti tipologie di intervento “a spot” nel trattare i medesimi problemi, rischiano di far saltare un discorso di solidarietà vera da parte della comunità internazionale.
Il generale Blattmann ne è sicuro: «Dobbiamo prepararci a conflitti, crisi e catastrofi». Per questo, la Svizzera ha pensato bene di riattrezzare il proprio esercito, «pronto a combattere per il Paese e per la nostra gente. Per questo servono, oltre alle risorse finanziarie, soprattutto soldati esperti e cittadini responsabili. Non c’è alternativa». E, se non c’è alternativa in Svizzera, l’Italia, l’Europa, il resto del mondo hanno alternative? (Mauro Faverzani)
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