Cosa c’è lì sotto, nel fondale marino dell’Est Mediterraneo? Uno smisurato giacimento di gas. Ecco perché vogliono radere al suolo la sovranità di più stati vicini.
Grecia, Cipro, Siria. Tre crisi ben distinte, secondo la narrazione mainstream: il debito pubblico non più tollerato dall’Europa del rigore, la fragilità del sistema bancario dell’isola mediterranea, la rivolta armata contro il regime di Assad.
Peccato che nessuno veda cosa c’è sotto: ma proprio in fondo, là in basso, nel fondale marino dell’Egeo. Tecnicamente: uno smisurato giacimento di gas. Un tesoro inestimabile, a cui avrebbero accesso – per diritto internazionale – sia i greci massacrati dalla Troika, sia i ciprioti strapazzati da Bruxelles, sia i siriani assediati dai miliziani Nato travestiti da ribelli.
Quel tesoro lo vogliono per intero, e a prezzi stracciati, le Sette Sorelle.
E’ questo il vero motivo per cui si sta cercando di radere al suolo la sovranità della Grecia, di Cipro e della Siria.
Non si tratta di una tesi, ma di fatti che il mondo diplomatico conosce. Parola di Agostino Chiesa Alciator, già console italiano in Francia. Che avverte: il disastro che ci sta rovinando addosso – crisi economica, catastrofe finanziaria, focolai di guerra permanente in ogni angolo del pianeta – ha una precisa di data d’inizio: 11 settembre. Non quello del 2001, le Torri Gemelle. Si tratta di undici anni prima: la caduta del Muro di Berlino. Quel giorno del 1990, George Bush – il padre, già direttore della Cia – tenne un discorso storico: annunciò l’avvento di un Nuovo Ordine Mondiale, diretto da Washington e Londra.
Era il punto di partenza di un processo inesorabile: dalla trasformazione radicale della Nato – da struttura difensiva ad organo offensivo, per il dominio del pianeta – fino alla neutralizzazione dell’Onu per aprire agli Usa la via della “guerra preventiva”, con un unico movente: procacciarsi l’accesso incondizionato al petrolio, come unico valore reale a sostegno dell’architrave dell’economia americana, il dollaro.
Quello, spiega Alciator, è il momento in cui si incrina l’equilibrio del mondo, caduta l’Unione Sovietica. Il Progetto per un Nuovo Secolo Americano, formalizzato alla fine degli anni ’90 da George W. Bush, ne è un semplice sviluppo: «Gli Stati Uniti si arrogano il diritto di intervenire in tutto il mondo laddove i loro interessi siano considerati messi in gioco.
Questa è, di fatto, l’esautorazione completa delle Nazioni Unite e del loro ruolo, fino ad allora gestito – bene o male – nella legalità internazionale, da un Consiglio di Sicurezza che rispecchiava equilibri di potenza».
Dalla geopolitica all’economia, il passo è breve: «L’altro pilastro del dominio globale è il dollaro, la sua circolazione forzosa internazionale», spiega Alciator.
«Di qui tutti gli accordi, più o meno segreti, coi paesi produttori di petrolio, per i quali il petrolio è obbligatoriamente negoziato in dollari». Il problema nasce con la fine del rapporto tra dollaro e oro, il 16 luglio 1971: «Da un giorno all’altro, Nixon decide che non c’è più il cambio fisso tra 36 dollari e un’oncia d’oro: a quel punto, il dollaro non ha più un punto di riferimento stabile sul quale basare tutte le transazioni e le negoziazioni valutarie in tutto il mondo, e diventa una valuta negoziabile in quanto tale, senza più alcun riferimento».
Cosa resta? «Soltanto il petrolio, che è la base di riferimento di ricchezza reale e continua, sulla quale il dollaro deve appoggiarsi per mantenere la sua credibilità». Nella trasformazione dell’egemonia Usa in autentico dominio globale, il dollaro gioca un ruolo fondamentale, insieme al petrolio e alle altre risorse energetiche: «Così, diventa assoluto il bisogno degli Stati Uniti di controllare tutte le zone produttrici di petrolio».
Comincia così la stagione della “guerra infinita”, verso la “nuova guerra fredda” cui stiamo assistendo: gli Usa occupano stabilmente i paesi petroliferi, oppure li invadono, o li accerchiano. Li isolano, presidiando gli oleodotti e le comunicazioni con l’esterno. «Dove gli Stati Uniti non possono occupare direttamente, con la guerra, i territori che producono la base fondamentale della vitalità del dollaro, presidiano le arterie globali di sbocco che da quei paesi arrivano al consumatore». In alcuni casi, se si evita la guerra è solo «per il timore di una guerra mondiale», ovvero il rischio teorico di “mutua distruzione” armato dai contrapposti arsenali atomici.
Se i missili di Putin costringono l’America alla prudenza, «si stringe il cerchio attorno ai paesi produttori di gas e petrolio, per evitare che abbiano risorse petrolifere non espresse in dollari». Per esempio, tra Russia e Cina lo scambio avviene in rubli e yuan, mentre i cinesi «pagano il petrolio iraniano in oro, e gli iraniani poi cambiano l’oro in altre valute, che non sono il dollaro».
Ecco il punto: «Economicamente, il disegno di dominio globale passa attraverso la sopravvivenza del dollaro, che è appoggiato sul petrolio e sul gas».
In questo, l’Europa ha una funzione strategica fondamentale, perché controlla gli sbocchi principali ed è uno dei maggiori recettori del gas che proviene dalla Russia. Non è un caso, aggiunge Alciator, che l’Irlanda e alcuni paesi nordeuropei si siano opposti alla rimozione dell’embargo sulla fornitura di armi di “ribelli” siriani, ormai in rotta verso la Giordania, dove sono protetti dalle installazioni Usa e dai missili Patriot. La situazione siriana è in stallo, ma ci sono dettagli che illuminano le possibilità che l’Europa ha di fronte.
Alla vigilia del G8 di giugno, nel quale Putin ha costretto Obama a una nuova conferenza di pace sulla Siria, hanno giocato un ruolo fondamentale due attori: il premier britannico David Cameron e il nuovo Papa, Francesco I. Cameron – rivela Alciator – ha scritto al pontefice per assicurargli che al G8 la Gran Bretagna avrebbe appoggiato la proposta di pace caldeggiata da Putin. E Francesco ha risposto prontamente: molto bene, ma sappiate che la pace passa attraverso un immediato cessate il fuoco e una conferenza che tenga conto onestamente degli interessi di tutte le parti.
In quella lettera, continua l’ex diplomatico, Jorge Bergoglio ha aggiunto un’altra cosa molto importante: «Ha detto che la pace – e, in economia, la crisi – non si risolverà, se non si considererà l’uomo non più come una merce che si può gettare come la spazzatura, ma come la centralità di qualunque impresa economica e politica». In altre parole: «Non ci sarà legittimazione, né vera pace sociale, fino a quando non si riporterà l’uomo – la sua dignità, la sua persona, la sua libertà – al centro di ogni azione politica ed economica».
Sono parole che anticipano di pochi giorni l’enciclica preparata dal suo predecessore, Josef Ratzinger, che secondo Alciator è stato «costretto a dimettersi» anche per via di quel testo, che denuncia i crimini del capitalismo finanziario. «Del resto – ricorda l’ex console – Ratzinger anticipò quei temi già a fine 2012, in occasione degli auguri natalizi alle rappresentanze diplomatiche». Alciator ricorda testualmente le parole di Ratzinger: «Purtroppo si sta insinuando nella società l’idea che il benessere e lo Stato sociale siano incompatibili col progresso economico: questo è inaccettabile».
Un passaggio-chiave, che Papa Francesco ha ripreso testualmente nella lettera a Cameron sulla Siria: le medesime idee ispirano il “Manifesto per l’Europa” che lo stesso Alciator ha firmato, con Giulietto Chiesa, per sollecitare le forze politiche europee a pretendere una conversione finalmente democratica dell’Unione, che liberi Bruxelles dal dominio dell’élite finanziaria e restituisca sovranità e dignità ai popoli. Obiettivi strategici, da raggiungere innanzitutto sollevando il velo della disinformazione che protegge la dittatura del business.
La guerra in Siria? D’accordo, è motivata anche da ragioni strategiche: grazie alle sue difese satellitari russe, la Siria è in grado di prevenire qualsiasi attacco contro l’Iran, in partenza da dalla Turchia o meglio da Israele, che potrebbe costringere Teheran a rispondere, trascinando quindi nel conflitto anche gli Usa, col pretesto di proteggere Tel Aviv.
Ma la verità principale, quella di cui nessuno parla, è profonda quanto il Mediterraneo: guai se il “tesoro” dell’Egeo dovesse cadere nelle mani “sbagliate”, cioè quelle dei legittimi proprietari, col rischio di escludere il dollaro dal bengodi nascosto nei fondali marini.
«La Siria aveva una piccola produzione di petrolio, 300.000 barili all’anno, che con l’embargo si è ridotta a 20.000 barili, cosa che comporta minor ingresso di valuta. Però ha anche diritti di sfruttamento – spiega Alciator – perché da un punto di vista giuridico internazionale la piattaforma continentale sottomarina assicura diritti di sfruttamento fino a 250 chilometri dalla costa, in base a norme internazionale accettate». Ora, tra Cipro e la costa nord della Siria ci sono meno di 250 chilometri: basterebbe tracciare a metà strada una linea di demarcazione, per dividere l’estrazione.
«Invece: vogliono espellere la Siria, e anche il Libano, dalla possibilità di accesso allo sfruttamento dei giacimenti». Sempre per il monopolio dollaro-petrolio, «la Siria dev’essere messa da parte e i giacimenti devono finire esclusivamente nelle mani delle società petrolifere multinazionali: questo è il motivo dell’accanimento contro la Siria».
Se Cipro è stata “sistemata” con la crisi bancaria e il Libano, anch’esso sfiorato dall’oro sottomarino, è da sempre sottoposto al terremoto politico-militare, proprio il gas dell’Egeo contribuisce a spiegare anche il martirio a cui è sottoposta la Grecia. Le grandi società petrolifere, spiega Alciator, hanno già approfittato della crisi greca per accaparrarsi le concessioni a prezzi stracciati: «Se avessero dovuto comprarle a prezzi reali, concorrenziali, la Grecia avrebbe avuto modo di pagare non una, ma dieci volte il debito che le hanno creato le multinazionali finanziarie».
http://www.informarexresistere.fr/2013/07/14/grecia-cipro-e-siria-messe-ko-per-rubargli-il-gas/
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