Un efficace articolo diRussia Insider affronta la gravissima questione della copertura mediatica sulla migrazione che si rifugia in Europa, che nasconde accuratamente l’elefante nella stanza: le politiche aggressive della NATO
che ne sono alla base. Il frame che comanda i giornalisti – consciamente o inconsciamente che sia – impone loro di passare sotto silenzio le cause di questa ondata migratoria senza precedenti, e di attaccare come “razzista” chiunque cerchi di mettere in discussione le compiacenti politiche di accoglienza.
Media sembrano determinati a non segnalare che la causa principale della crisi migratoria che la UE si trova ad affrontare è il caos e la miseria che gli Stati Uniti hanno contribuito a provocare in Libia, Siria, Iraq, Yemen e Somalia.
La portata della crisi migratoria che sta affrontando oggi l’Europa non può essere sottovalutata. È veramente senza precedenti. Ma quel che viene abitualmente sottovalutato, tuttavia – ed è di fatto quasi ignorato dai media mainstream – sono le vere radici della crisi.
Il dibattito sull’immigrazione nella UE si svolge quasi interamente senza riferimento alcuno alle cause del recente afflusso di migranti dal Nord Africa e dal Medio Oriente. L’elefante nella stanza è la NATO, e nessuno vuole davvero parlarne.
Centinaia di articoli, carichi di numeri e proposte e previsioni, omettono di fare un collegamento diretto tra la causa e l’effetto. I conduttori televisivi rimangono apparentemente sconcertati, a bocca aperta, davanti alle immagini apocalittiche che scorrono sui loro schermi, ma pochi sono disposti a trarre le dovute conclusioni. E’ un collegamento così logico e basilare che è difficile credere che non venga esplicitato in maniera molto forte e con insistenza.
Forse è solo il fatto che i giornalisti sono così condizionati dal frame che mette gli Stati Uniti e la politica della NATO in una luce positiva, che fa sì che il collegamento nemmeno venga loro in mente. O forse sono semplicemente in imbarazzo e cercano di deviare l’attenzione dal loro sostegno continuo, e documentato, ai vari interventi militari in quei paesi.
In entrambi i casi, il risultato è che la storia è raccontata in un modo che fa apparire i tempi della crisi quasi casuali. Assistiamo a una discussione su come ‘gestire’ le barche piene di libici che attraversano il Mediterraneo – come se la Libia fosse un paese imploso appena ieri, e senza nessuna ragione apparente.
Un dibattito feroce infuria su ‘cosa fare’ con questi migranti – ed è comprensibile perché questo è il problema più immediato – ma il dibattito di cui c’è davvero bisogno è sulle politiche, le politiche della NATO, che sono state il catalizzatore di questi eventi.
Anche se l‘Europa fosse unita nel formulare una ‘soluzione’ al problema, non sarebbe nulla più che una soluzione-cerotto, perché tratterebbe solo il sintomo. Dopo tutto, che importa coprire la ferita aperta con un cerotto quando il tizio che brandisce il coltello è ancora nella stessa stanza? Non ci vuole un genio per capire come finisce la storia.
Ogni volta che la questione è citata a malincuore dai media, è accennata astrattamente e brevemente da un giornalista o un conduttore che fa riferimento ad un “conflitto” o parla di come la violenza “si sia riaccesa” in questi paesi negli ultimi mesi e anni.
Ai redattori del New York Times, in particolare, piace molto caricare tutta la colpa sulle spalle dell’Europa. Qui il Times sostiene che la crisi migratoria “mette a fuoco i passi falsi dei politici europei.” Un altro articolo, della redazione, dà lezioni all’Europa su come gestire la situazione.
Nel mese di aprile, il capo della NATO, Jens Stoltenberg, ha fatto appello a una “risposta esaustiva” alla crisi e ha promesso che la NATO avrebbero aiutato a stabilizzare la situazione. Il ruolo della alleanza nella “stabilizzazione” dell’Afghanistan era parte del suo approccio complessivo alla crisi dei rifugiati nel Mediterraneo, ha detto.
Questa è bella, detta dal capo di una alleanza di ‘sicurezza’ e ‘difensiva’ che ha portato avanti per anni una politica di destabilizzazione offensiva nelle stesse regioni da cui le persone sono in fuga a centinaia di migliaia. Ma i commenti di Stoltenberg e le azioni della NATO possono essere facilmente decodificati mediante l’impiego di un po’ di buon senso.
Il modus operandi della NATO è chiaro. Il modello, ripetuto più e più volte, comporta la completa destabilizzazione di una regione, seguita rapidamente da un’altra ‘soluzione’ NATO al problema. Se a questo si aggiunge l’uso di portavoce che senza vergogna fingono ignoranza e mentono clamorosamente (Jen Psaki, Marie Harf ecc), e dei media compiacenti che ripetono la linea a pappagallo senza farsi domande, questo è il risultato.
L’intervento della Nato in Libia del 2011 è stato autorizzato dalle Nazioni Unite per motivi “umanitari” e ha provocato la morte di un numero che va da 50.000 a 100.000 persone e lo sfollamento di 2 milioni di persone. Molto umanitario.
Allo stesso modo, dopo la campagna condotta dagli Stati Uniti per destabilizzare la Siria nel tentativo di rovesciare Bashar al-Assad, facilitando (e anche sostenendo) l’avvento dell’ISIS nella regione, l’incredibile cifra di 10 milioni di persone sono state sfollate (secondo Amnesty International) ed i paesi europei sono stati lasciati a raccogliere i cocci. La Germania, ad esempio, si è impegnata a sistemare 30.000 rifugiati siriani. La Svezia, un paese non NATO, ne ha accolto quasi altrettanti.
E dovrebbe essere chiaro, tuttavia, che il numero di persone che i paesi europei hanno preso in carico impallidisce rispetto a quanti sono stati ospitati dai paesi del Medio Oriente. Il Libano, per esempio, ospita 1,1 milioni di rifugiati siriani. La Giordania ne ospita più di 600.000. L’Iraq ospita quasi 250.000 persone. La Turchia ne ospita 1,6 milioni.
C’è un paese che in tutto questo ne sta venendo fuori illeso – almeno sul fronte siriano. Quel paese sono gli Stati Uniti. Dopo quattro anni di guerra gli Stati Uniti hanno accolto meno di 900 rifugiati siriani. I funzionari americani hanno spiegato che motivi di “sicurezza nazionale” richiedono di non poterne accogliere di più, anche se hanno detto che sarebbero contenti di poter aumentare l’accoglienza.
Dibattito non consentito
C’è un secondo crimine multimediale che passa inosservato, ed è questo: nei paesi europei dove il massiccio afflusso di migranti provenienti dal Medio Oriente e dal Nord Africa ha causato gravi divisioni sociali e dove i migranti non sono riusciti ad integrarsi (per una serie di motivi, sia per le politiche governative che per le credenze religiose spesso radicali), i media occidentali non permetteranno a nessuno di parlarne onestamente – e guai a chi cerca di farlo.
Prendete la Svezia, dove la malattia del politicamente corretto è a uno stadio ancora più avanzato di quanto non sia nel resto d’Europa. Lì, ogni tentativo di discutere la coerenza della politica delle ‘porte aperte’ sull’immigrazione, viene bollato come “razzista”. Ironia della sorte, la nazione sta affrontando una crisi degli alloggi e non ha posto dove mettere la maggior parte delle persone che si sta impegnando ad accogliere. Ecco quel che si dice una vera e propria politica lungimirante di buon senso.
Si tratta di una combinazione pericolosa per l’Europa: un afflusso insostenibile di migranti, una politica estera che ne assicura la continuazione, dei media compiacenti, e un’epidemia di “correttezza politica” che ha infettato l’intero continente.
L’ABC dei media sulla crisi dei migranti: parlare molto di migranti, non far menzione del perché siano scappati e quindi chiamare “razzista” chiunque ne faccia un problema – successo! Oh, e si ottiene un ulteriore bonus se si può collegare in qualche modo tutto questo a un’ ‘aggressione russa’, a Vladimir Putin e alla NATO come alleanza difensiva.
Alcuni paesi europei stanno adottando un approccio più intransigente e per questo vengono stroncati. L’Ungheria, ad esempio, sta cercando di costruire una barrieralungo il confine con la Serbia, simile alle barriere lungo le frontiere greco-turche e bulgaro-turche. Ancora una volta, questo ha scatenato accuse di razzismo e xénofobia dai media e dagli ambienti politici.
Ma è parte del gioco, no? Se i sostenitori delle guerre della NATO possono focalizzare il dibattito sull’idea che chiunque voglia affrontare o valutare criticamente la politica dell’immigrazione è “razzista”, allora non ci sarà bisogno di parlare in primo luogo del perché i migranti sono qui o del perché a casa propria si trovino ad affrontare delle circostanze così terribili.
Oksana Boyko di Russia Today ha cercato di recente di affrontare questo argomento con Peter Sutherland, rappresentante speciale delle Nazioni Unite sulla migrazione internazionale e lo sviluppo, ma non ha ottenuto niente. Ha affermato che la discussione sulla migrazione verso l’UE non può davvero fare a meno di affrontare l‘essenza e il cuore del problema, ma ha dovuto constatare che a quanto pare la politica della NATO non è un argomento in discussione.
Discutere della crisi dei migranti in Europa senza riconoscere il contesto in cui è stata creata, è inutile. Sarebbe come chiedere agli americani di discutere della brutalità della polizia, senza parlare della questione razziale. I due aspetti sono inevitabilmente interconnessi e qualsiasi “soluzione” che provenga da una discussione incompleta alla fine non può che fallire.
Per ora, però, sembra che l’Europa continuerà a discutere questa crisi umanitaria in termini di ‘cosa fare’, senza affrontare il ‘come fermare’, e continueremo a muoverci in un circolo vizioso.
Una soluzione più semplice, ovviamente, sarebbe che la NATO ponesse fine alle sue campagne di destabilizzazione in Medio Oriente e Nord Africa, ma questo richiederebbe l’accettazione e il riconoscimento di alcune dure verità.
Autore: Danielle Ryan / Fonte: vocidallestero.it
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