Il libro di Pinocchio ebbe grande successo popolare, ma l’allora imperante perbenismo (1883, anno della pubblicazione) della critica letteraria ne sconsigliò la lettura ai ragazzi “di buona famiglia” per i quali, taluno soggiunse, “poteva trattarsi di una perniciosa potenziale fonte d'ispirazione”.
Pinocchio è una storia con una narrazione semplice che può essere goduta da parte delle masse, ma con un significato nascosto riservato solo a coloro “che sanno” e “che vedono”. Nel bambino che si accosta a questa avventura s’imprime, oltre che il significato più superficiale, morale e cosciente, un significato più profondo, esoterico e inconscio.
Pin-occhio (l’occhio della pineale) è a tutti gli effetti la rappresentazione del percorso di risveglio. Il Padre, Geppetto, ne è il Creatore, infatti non è un vero padre nel senso comune del termine, ma Colui che lo trae dalla materia e gli dà forma. Pinocchio non nasce da una donna, e questo è il primo fatto extra-ordinario. Geppetto lo scolpisce nel legno, lo crea burattino, cioè un essere “meccanico”, “addormentato”, come direbbe Gurdjieff, in grado di parlare e camminare, ma non dotato di coscienza, quindi non ancora umano.
Collodi, massone, ha un’idea semplicemente geniale per illustrare una parabola esoterica!
Appena creato, Pinocchio diviene subito ingestibile, in quanto non ha ancora ritrovato né la sua anima (la Fata Turchina) né tantomeno il Padre, dal quale dovrà prima separarsi per conoscere le insidie del mondo, proprio come accade al figliol prodigo nell’omonima parabola evangelica. Lungo il suo cammino iniziatico impara a conoscersi, a gestire il corpo, le emozioni e la mente, sorvegliato a distanza dalla sua anima, la quale – nonostante le menzogne del burattino – lo aiuta nei momenti più bui e lo rimette sempre sulla “retta via”.
Incontra il Gatto e la Volpe (il corpo emotivo e il corpo mentale) che lo illudono e lo ingannano. A causa loro Pinocchio crede di poter moltiplicare facilmente i suoi soldi anche senza possedere ancora la vera Conoscenza, quella che dovrebbe acquisire frequentando la Scuola che lui sempre rifiuta.
Il Gatto e la Volpe – i suoi corpi, il suo apparato psicosomatico – a un certo punto prendono il sopravvento e lo impiccano. Pinocchio muore e resuscita.
Mangiafuoco è l’equivalente del termine evangelico “mammona”, è il burattinaio, ossia la potenza del mondo (“non puoi servire a Dio e a mammona” dice Gesù) che ti fa lavorare e ti sfrutta insieme agli altri burattini, i quali possono venire sacrificati e gettati nel fuoco in qualunque momento.
Lucifero/Lucignolo è colui che lo distrae dalla Scuola, cioè dall’autentica Conoscenza, quella che lo metterebbe in contatto con i “maestri” e lo farebbe diventare finalmente Uomo, come vuole la Fata Turchina. Lucignolo lo indirizza invece verso il Paese dei Balocchi, dove tutti gli abitanti sono bambini (animicamente) cioè poco evoluti, inclini al vizio e immersi nell’ignoranza (“lì non vi sono scuole, lì non vi sono maestri, lì non vi sono libri”). Questa esperienza simboleggia il massimo della dissoluzione umana, infatti Pinocchio viene precipitato nel mondo infraumano (viene trasformato in asino), cioè ha una temporanea esperienza di retrocessione animica, che però gli consente l’ennesima successiva trasmutazione.
Infine Collodi descrive l’avventura nella pancia della balena, dove Pinocchio, al termine del suo ciclo evolutivo e delle sue esperienze iniziatiche, incontra nuovamente il Padre che l’ha creato. Anche qui è evidente il parallelismo sia con la parabola del figliol prodigo sia con il Libro di Giona, dell’Antico Testamento, dove il protagonista trascorre tre giorni e tre notti nella pancia del cetaceo e alla fine prega Dio nella sua afflizione e si impegna a onorarlo e a pagare quello che ha promesso. Allora Dio comanda al pesce di vomitare Giona.
Pinocchio si ricongiunge col Padre e onora il volere della Fata Turchina, ossia la sua anima.
E’ forse, nel panorama delle favole, quella che maggiormente viene narrata circa la questione della “buona educazione” che porta ad essere “bravi bambini”. D’altronde, se Pinocchio diceva una bugia, gli si allungava il naso e la sua storia è proprio quella, tra grillo parlante e fatina buona, di divenire “un bambino vero”.
Scolasticamente, perché questa favola poteva essere letta (e lo è stato fatto per anni e tuttora lo si fa) dal punto di vista del professore d’altri tempi, il “bravo bambino” è colui che sta al suo posto, che segue la lezione e che sta alle regole, non di certo un asino che gozzoviglia nel Paese dei Balocchi!
Mescolare il “bambino vero” con il “bravo bambino” ed intendere con quest’ultimo “colui che sta alle regole” è un perverso gioco di parole che gli esperti di PNL di oggi potrebbero anche molto apprezzare per la finezza dei passaggi, che conducono – in un sillogismo quasi perfetto – a dire che il bambino vero è colui che obbedisce.
Ma Collodi vuole raccontarci qualcosa di ben più profondo di un racconto sulla “buona educazione”, termine – anche questo – che dovrebbe farci riflettere, dato che “educare” significa “tirare fuori”, una “buona educazione” è quella educazione che bada a tirare fuori ciò che reputa buono ed a lasciar dentro quel che, per lei, non lo è.
Difatti il titolo originale del libro è: “Le avventure di Pinocchio”, mentre nella nostra cultura diviene semplicemente “Pinocchio”, ovvero manca il viaggio, l’avventura, la formazione, il ciclo – per usare le parole che Clarissa Pinkola Estés usa in “Donne che corrono coi Lupi” – Vita/Morte/Vita, così caro alla narrazione favolistica ed ai miti. Quello che resta è un insieme di “regole di buona educazione”.
E come possiamo capire che Pinocchio, in realtà, è molto altro?
E’ lui (Collodi) stesso a dircelo: anzitutto Pinocchio studia su un libro senza frontespizio e senza indice, ovvero senza regole.
Proprio lui, che dovrebbe essere l’esempio del “bravo bambino”, studia su un testo che – diremmo oggi – se ne frega del copyright (frontespizio) e delle norme della scrittura (indice).
Ma non è tutto qui: esiste una particolare tipologia di testi dove vengono commessi (od omessi) alcuni “errori voluti”, sottili, specifici, che indicano al lettore attento che si sta addentrando in territori esoterici, laddove ogni cosa è quello che è, ma è anche – e soprattutto – molto di più. L’errore grossolano che commette Collodi è quello di definire Pinocchio come un burattino.
Ecco perché:
“I burattini sono dei pupazzi animati direttamente dalla mano del burattinaio, il quale, stando di fianco o sotto i pupazzi dandogli la voce e raccontando le vicende. Le marionette sono invece pupazzi controllati tramite fili mossi dalle mani del marionettista che sta al di sopra di esse dando voce ai personaggi e alla storia. La marionette sono figure umane complete, dalla testa ai piedi, che vestono abiti in miniatura”
Questo “lapsus” ci indica chiaramente che questo testo che abbiamo per le mani è un delicatissimo e prezioso trattato di Qabbalah.
Igor Sibaldi ci guida alla scoperta del lato qabbalistico di quest’opera meravigliosa, e lo fa con una grazia, una semplicità ed una capacità di interessare e spingere “oltre”, che – per chi lo conosce – sa essergli propria. Se avete due ore di tempo (anche in pezzetti da 3o minuti), vi consiglio caldamente il DVD “Pinocchio e la Qabbalah”, che può farvi innamorare (di Sibaldi, di Collodi, di Pinocchio e di voi stessi) e darvi una spinterella “al di là” del recinto.
E’ proprio questa una delle lezioni di Pinocchio: la disobbedienza come strumento dell’al-di-là.
In realtà, come piccolo trattato di Qabbalah, le avventure del burattino contengono tantissime lezioni: qual è il giusto procedimento per la “incarnazione” e che cosa significa “essere umani” (il bambino vero), qual è il ruolo dell’uomo nella creazione e come lo si può svolgere, come funzionano le iniziazioni, cosa significano e come riconoscerle lungo il cammino di ogni giorno. E scusate se è poco…
Ma noi siamo qui per parlare principalmente di Disobbedienza e lo facciamo chiamando in causa Yahweh ed Elohim, due dei nomi di Dio presenti nella Genesi, o meglio: due particolari aspetti della divinità (parleremo dettagliatamente di questo argomento nella recensione – in arrivo – sul “Libro della Creazione”).
Yahweh ed Elohim sono, rispettivamente, il “dio di ciò che è” ed il “dio del divenire”.
Come tali, possono anche essere interpretati come due forze (simili al principio Yin e Yang del Tao orientale) dello stesso principio primo, ovvero la forza che “cerca di mantenere e proteggere le cose per quello che sono” (Yahweh) e la forza che “genera continuamente” (Elohim).
peccato originaleNell’atto della Creazione c’è un famosissimo atto di Disobbedienza: Adamo ed Eva mangiano la mela dell’Albero della Conoscenza del Bene e del Male.
In questa scena appaiono entrambi i principi divini: l’uno sotto forma di serpente e l’altro nella forma di voce (il Dio che conosciamo tutti).
Tra queste due forme divine inizia una specie di teatrino per il quale l’una spinge affinché l’uomo si nutra del frutta e l’altra invita a dissuadere dal farlo.
E, disobbediendo, Adamo ed Eva mangiano in frutto proibito.
Ma un atto di disobbedienza per metà, perché l’altra metà del divino spronava i due fratelli originali a commettere quell’hybris, quell’atto di tracotanza che li ha portati ad “essere come noi”, come gli dèi.
Qui la Disobbedienza diventa una tecnica che l’uomo usa per evolvere, per uscire dal recinto – affacciarsi quanto meno – del paradiso e venire a fare l’esperienza sulla Terra.
Esperienza necessaria, direbbe la Qabbalah, dato che la creazione è un atto continuo che, al livello del pianeta Terra, è nelle mani dell’uomo.
Esistono dei limiti. Esistono nella società, nei tempi e nei rapporti. Esistono anche nei giochi, che sono uno dei luoghi di maggiore “liberazione di sé”.
Ma i peggiori sono i limiti che esistono nella nostra psiche. Sono i peggiori perché non sono limiti reali, bensì limiti auto-imposti o accettati da regole esterne, spesso apprese come regole (morali), leggi o dogmi e mai messe in discussione.
Usare la Disobbedienza come tecnica di conoscenza e lavoro su di sé significa fare capolino oltre il territorio rimarcato da questi dogmi, al di là dei cancelli degli inferi – come tramandano alcuni miti – dentro la porta segreta di Barbablu, per vedere che altro c’è, al di là del mondo come lo conosciamo. In questo modo l’atto disobbediente ci conduce sulla soglia tra un mondo di forme che sono (Yahweh) ed uno di profonda, enorme, energia in movimento, di possibilità (Elohim o, nel mio vocabolario, l’Immaginazione).
Certo, ora resta da comprendere più in profondità che cosa nasconde e rivela la parola “Creatività”, così simile al termine “Creazione”, ma lo faremo nel prossimo articolo/recensione del “Libro della Creazione”, sempre del caro Igor Sibaldi.
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