Durante le perquisizioni sono state sequestrate partite di hashish di prima qualità |
Complice la crisi, sempre più agricoltori si danno al business delle droghe
Racket addio. Non servi più. I coltivatori italiani di cannabis producono lo stupefacente in aziende agricole o in serre costruite in ogni dove, capannoni, magazzini, scantinati. La produzione fai-da-te di hashish e marijuana, almeno in Piemonte, sta aumentando in modo esponenziale. Poi viene venduta, senza alcun tipo di passaggio, al consumatore, divisa in dosi o in quantitativi più importanti. Via Internet. I carabinieri del comando provinciale di Torino hanno individuato nel web decine di «app» dove è possibile acquistare la droga. Da aprile a novembre hanno sequestrato 27 serre clandestine, dotate anche di attrezzature sofisticate, come se la cannabis fosse ormai una pianta-ortaggio qualsiasi. Tra gli arrestati o i denunciati ci sono agricoltori di professione, disc-jockey, assicuratori, commercianti, universitari, attivisti dei centri sociali. Età dai 20 ai 60 anni. Incensurati e, salvo le solite eccezioni, con profili personali lontanissimi dai vecchi cliché, cioè l’hippie o l’alternativo che getta disordinatamente in un vaso i semi comprati nei coffee shop di Amsterdam e dintorni.
Gli italiani, quando si impegnano, lavorano al top e la cannabis coltivata seguendo tutte le prescrizioni tecniche è di qualità elevata, con una resa e un principio attivo molto alto. I più organizzati hanno creato una linea di produzione che va dalla coltivazione, all’essicazione, al taglio e al confezionamento delle dosi, in vari format. Qualcuno, certo dell’impunità, «firma» il prodotto con un logo particolare, per non perdere l’effetto identitario, un marchio Doc, per fidelizzare ulteriormente il consumatore. Raramente si trasformano in pusher. Ma un agricoltore di origine valdostana, fermato dai carabinieri, aveva lasciato la sua serra nei dintorni di Torino per vendere «2,17 grammi» di marijuana a una studentessa di 19 anni. In casa aveva un piccolo negozio di vendita al minuto, con dosi già graziosamente confezionate. «Nel corso delle indagini - spiegano gli investigatori dell’Arma - abbiamo constatato che, quasi sempre, la droga viene distribuita da una rete scollegata dal racket, che invece continua ad importare lo stesso tipo di stupefacente dai Paesi tradizionalmente produttori».
Ma quanti agricoltori vanno convertendo le loro coltivazioni verso l’area illegale? «Tanti. Le operazioni in corso sono solo la punta di un iceberg. La crisi ha investito anche le campagne, molti terreni sono incolti, le cascine abbandonate. Coltivare la cannabis costa relativamente poco e i profitti sono elevati, diciamo che, investendo 100 euro se ne ricavano 500. Il mercato on-line, se il prodotto è buono, è pronto a pagare e anche bene, con ampi margini di discrezionalità e sicurezza».
In questo test limitato solo a Torino e provincia, piantagioni di piccole, medie e grandi dimensioni sono state scoperte dai carabinieri a Settimo Torinese, Casalborgone, Montanaro, Pianezza, Sant’Ambrogio, Grugliasco, Reano, Giaveno, Rivarolo, San Giorgio Canavese, Alice Superiore, Orbassano, Venaria e Torino. Paesi una volta noti per i pomodori, peperoni o per qualche ortaggio particolare e unico. A Nichelino la Narcotici della polizia aveva arrestato, a settembre, tre fratelli agricoltori incensurati che avevano trasformato la loro cascina in un centro-modello della cannabis.
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