Ora la presenza di questo antico insediamento romano è stata confermata grazie alle ricerche archeologiche condotte da Paolo Visonà, originario di Valdagno (Vicenza), e da George Crothers, rispettivamente professori di storia dell'arte e antropologia della School of Art and Visual Studies al College of Fine Arts (Gran Bretagna).
La ricerca, non invasiva, cioè condotta attraverso un'indagine archeologica senza scavi, è stata effettuata l’estate scorsa con strumentazioni quali georadar, radiometri e magnetometri in terreni privati presso la frazione di Tezze, in località Valbruna, ad Arzignano, in provincia di Vicenza. Visonà venne a conoscenza della possibile presenza di un antico insediamento da un agricoltore di Valbruna.
Quest’ultimo, Battista Carlotto, mentre lavorava la sua terra aveva scoperto reperti antichi quali ceramiche, mosaici e vetri attribuibili all’epoca imperiale romana. Visonà cominciò così a cercare testimonianze storiche relative a quella zona. E nella biblioteca Bertoliana di Vicenza trovò manoscritti che confermarono il suo sospetto: là sotto doveva esserci qualcosa di molto interessante.
In quei manoscritti infatti si legge che nel tardo XVIII secolo testimoni avevano visto i resti della città romana. Così non volendo operare con metodi invasivi nei campi di Carlotto, Visonà ha dovuto escogitare un modo per trovare le prove dell’esistenza di quell’insediamento.
In suo aiuto è giunto il collega George Crothers, professore associato di antropologia nel Regno Unito: «George aveva le basi per fare questo tipo di ricerca», dice Visonà, «con tecniche geofisiche e gli strumenti per scoprire le caratteristiche architettoniche nascoste di questo sito».
Crothers spiega: «Il sito non era stato scavato, e le tecniche geofisiche sono un modo per guardare sotto terra senza disturbare il terreno». Il team ha utilizzato un magnetometro e un radar per indagare il suolo. Il magnetometro misura le variazioni nell'intensità magnetica del terreno e può rilevare le caratteristiche degli oggetti seppelliti. Il radar emette onde sottoterra che poi vengono riflesse. È stato così possibile creare una mappa di ciò che c’è sotto la superficie.
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In primo luogo la squadra ha confermato la presenza di una strada e pareti che indicano la presenza di edifici romani. A giudicare dai materiali trovati in superficie e durante i lavori agricoli, l'insediamento poteva essere esistito per più di 400 anni, dal I secolo a. C. al III-IV secolo d. C. Le informazioni del manoscritto indicarono che era molto vasto.
«Riguardano un lungo periodo, alcune sono molto dettagliate, di testimoni oculari che hanno visto la città romana in due diverse occasioni», spiga Visonà, «quando venne in parte alla luce durante le inondazioni del fiume Guà. Ma erano informazioni sparse e mai davvero considerate dagli scienziati».
Gli strumenti hanno rivelato anche la presenza di grandi strutture circolari sotto le strutture romane del sito. «Ci hanno sorpreso», continua Visonà. «Erano totalmente inaspettate. Il radar ci ha detto che sono molto più profonde di quelle romane, potrebbero quindi essere la prova di capanne di una popolazione indigena preistorica, databili dal Neolitico alla tarda età del bronzo».
Il nome dell'antica città romana potrebbe essere stato Dripsinum: antiche fonti indicano che i Dripsinates erano una comunità subalpina, vissuta in questa zona del Nord Italia. Si spera che le ricerche presso il sito possano proseguire.
Le indagini sono state condotte sotto l'egida della Soprintendenza del Veneto, in collaborazione con i dipartimenti di geografia e geologia dell'Università del Kentucky (che ha collaborato ) e con l'aiuto, per l'analisi del campioni, degli atenei Ca' Foscari di Venezia e dell'Insubria di Como.
[Fonte http://www.corriere.it/].
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