Imu per la Chiesa: vorrei ma non posso...

Nonostante le buone intenzioni dichiarate a febbraio, il governo non riesce proprio ad applicare la tassa agli immobili ecclesiastici ad uso commerciale.
Il governo Monti sembra affetto dalla cosiddetta “sindrome di Fonzie” dal nome del motociclista protagonista della fortunata sitcom americana Happy Days. Così come il simpatico personaggio interpretato da Henry Winkler era incapace di ammettere di essersi sbagliato o di chiedere scusa, allo stesso modo il nostro esecutivo tecnico non riesce proprio a far pagare l’Imu alla Chiesa.
A febbraio il presidente del Consiglio aveva annunciato che anche i beni immobili commerciali riconducibili alla Chiesa avrebbero pagato l’oneroso tributo. Il provvedimento era stato inserito nel decreto liberalizzazioni ed un successivo regolamento avrebbe solamente dovuto stabilire le modalità di pagamento dell’imposta soprattutto per quei beni in cui l’attività commerciale non è esclusiva ma si svolge assieme ad un’attività no profit. Da allora è cominciata la “sindrome di Fonzie”, visto che fino a settembre non si è vista traccia di questo regolamento attuativo con il rischio (che ormai sta diventando certezza) che la Chiesa non paghi l’Imu nel 2013. Il ministero dell’Economia ha presentato il regolamento ad ottobre ma spingendosi ben oltre quelli che erano le sue competenze. In questo regolamento erano presenti una serie di casistiche in cui scattava l’esenzione dall’Imu rendendo di fatto nulla l’applicazione del tributo.
Il Consiglio di Stato – che doveva esaminarlo – lo aveva quindi bocciato perché aveva contenuti che – per essere validi – dovevano essere presenti in un decreto con forza di legge. In ogni caso il governo manifestava le sue intenzioni di voler agevolare la Chiesa ed il sottosegretario all’economia Polillo spiegava: «Quei criteri saranno stralciati da questo regolamento, come chiesto dal Consiglio di Stato, ma inseriti in un altro provvedimento». Nel frattempo non erano mancate le pressioni provenienti dal mondo cattolico. Monsignor Ravasi, presidente del Pontificio collegio per la cultura, affermava che quello di un presunto privilegio della Chiesa è «una mitologia» che a suo giudizio «bisogna sfatare».

Il nodo diventa la definizione di “attività commerciale”. Tutti gli immobili in cui si svolge attività no profit (mense, dormitori) non pagano l’Imu ma devono pagarlo tutti quei beni (cliniche, alberghi, ristoranti, bar) che agiscono in un sistema di libera concorrenza applicando i normali prezzi di mercato. A questo punto il governo – come rivela Repubblica – fornisce una nuova definizione di ente no profit. Lo strumento è l’articolo 9 del decreto legge 174 sugli enti locali pubblicato sulla Gazzetta ufficiale del 10 ottobre che modifica la legge liberalizzazioni, la quale avrebbe dovuto applicare l’Imu anche alla Chiesa. Secondo il governo deve essere considerata no profit l’attività che non distribuisca utili alla fine dell’anno oppure che li reinvesta a fini di solidarietà sociale. Ed è sufficiente inserire nello statuto l’obbligo di devolvere il patrimonio – in caso di scioglimento – a un ente che svolga un’attività analoga. Quindi affinché le attività commerciali godano dell’esenzione Imu basterà una semplice modifica al proprio statuto.
Gli effetti di tutto questo saranno duplici. In primis continueranno ad essere esentate dall’Imu quelle attività commerciali riconducibili alla Chiesa che applicano normali prezzi di mercato, ma anche altri soggetti potranno decidere di trasformare la propria attività da commerciale a “no profit” per evitare di pagare l’imposta ed avere una serie di sgravi fiscali. L’obbligo da parte dei soci di non ricevere gli utili alla fine dell’anno non sarebbe un grosso problema visto che potrebbero aggirarlo con escamotage contabili. Insomma, si aprirebbe una gran falla i cui danni saranno alla fine pagati solo dai cittadini. Una via di fuga è stata trovata anche per cliniche e ospedali privati a cui basterà essere convenzionati o accreditati con lo Stato mentre scuole, attività culturali, ricreative o sportive saranno esentate se applicheranno rette di «importo simbolico»: un termine talmente generico che potrebbe allargare l’area di esenzione dall’Imu.
A questo punto è chiara l’intenzione del governo Monti di non far applicare l’Imu alla Chiesa e – come afferma il direttore di Repubblica Ezio Mauro – vi è una sorta di «bacio improprio dell’anello verso le autorità ecclesiastiche in un periodo in cui i cittadini e le società sono sottoposte a sacrifici» con l’esistenza di leggi «ad ecclesiam». Sulla questione del pagamento dell’Imu alla Chiesa cattolica resta aperta la procedura d’infrazione aperta dall’Unione europea tanto cara ai professori del governo Monti che oltre a sanzionare l’Italia per illeciti aiuti di Stato potrebbe obbligare il nostro Paese ad esigere dalla Chiesa gli arretrati dal 2006 (anno in cui è stata aperta la procedura d’infrazione): un importo che – secondo le stime dell’Anci – si aggirerebbe intorno ai 500 milioni di euro annui.
Resta un interrogativo. Per quale motivo il governo Monti, pur essendo la nostra economia a rischio default e pur mancando fondi per settori vitali come il sostegno ai malati di Sla o il riscaldamento nelle scuole, accetta il rischio che il nostro Paese possa essere sanzionato con una multa milionaria dall’Ue?

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