Sotto il “tacco” del nostro “stivale” la placca rocciosa che sostiene il Mar Ionio si incunea tra Calabria e Sicilia generando terremoti profondi, oltre ad aver permesso la formazione delle isole Eolie ed altri vulcani sottomarini.
Sabrina Mugnos - 31/10/2012
E’ un fatto ormai noto anche al grande pubblico cha il nostro paese giace su un’area (quella del Bacino del Mediterraneo) molto attiva sia dal punto di vista sismico che vulcanico.
L’iperattività del nostro territorio (in grado di produrre oltre 60000 scosse telluriche solo negli ultimi 5 anni) dipende dalla complessa disposizione e interazione delle placche o zolle in profondità (quello che i geologi chiamano contesto geodinamico) che si riconducono ad una forza principale: il moto compressivo e rotatorio del continente africano verso quello europeo.
Le Alpi e l’Appennino sono la zona di confine, ovvero il fronte, di queste due enormi porzioni di roccia che si scontrano; ne consegue che, soprattutto nelle loro vicinanze, la sismicità può essere elevata. E dal momento che queste catene montuose fanno da spina dorsale al nostro paese stretto e lungo, poche zone possono considerarsi immuni dal fenomeno sismico.
Nel sud della penisola e nella zona meridionale del bacino tirrenico si raggiunge l’apice della complessità tettonica, che sfocia in un maggior rischio sismico, vulcanico e legato alla formazione di tsunami.
Sotto il “tacco” del nostro “stivale” la placca rocciosa che sostiene il Mar Ionio si incunea tra Calabria e Sicilia generando terremoti profondi, oltre ad aver permesso la formazione delle isole Eolie ed altri vulcani sottomarini. D’altro canto il moto di rotazione antiorario dell’Africa verso nord - ovest stira e, quindi, frattura i fondali del Tirreno (per tale ragione si raggiungono profondità abissali), la Sicilia orientale e la penisola meridionale, da cui la formazione del vulcano Etna ed altri colossi sottomarini (tra i quali il Marsili ed Empedocle) e la presenza di terremoti superficiali anche violenti generati dalle numerose faglie attive.
Nell’immagine la situazione geodinamica al di sotto del bacino del Mediterraneo.
Sopra una schematizzazione del fondale tirrenico meridionale in prossimità delle isole Eolie
Per tale ragione la Basilicata e la Calabria ricadono in una delle aree del territorio nazionale classificate a maggior pericolosità dalla Mappa di Pericolosità Sismica del Territorio Nazionale*, dove si attendono Accelerazioni di picco del Suolo* intorno a 0.25 g (1/4 dell’accelerazione di gravità) ovvero potenziali sismi del sesto o settimo grado della scala Mercalli (o di Intensità), con una probabilità che si verifichino intorno al 10% nei prossimi 50 anni.
E’ il caso dell’area del Pollino, dove studi recenti hanno portato a identificare una struttura sismogenetica (cioè in grado di produrre terremoti) estesa per una ventina di chilometri tra gli abitati di Mormanno e quello di Castelluccio inferiore.
Il sisma di Mw 5.3 (Momento Magnitudo*) avvenuto il 26 ottobre scorso alle ore 1.05, ad una profondità di 6.3 km, si colloca proprio nella zona in questione (per la precisione tra i comuni di Mormanno, Laino Castello e Laino Borgo e Rotonda, a cavallo tra le province di Cosenza e Potenza), dove il Piano di Faglia è orientato nella direzione appenninica e lo stiramento avviene nella direzione opposta. Per dirla semplice, è come se con entrambe le mani cercassimo di allargare lo stivale tirandone i lati in senso opposto!
Tuttavia c’è anche da dire che il Catalogo della Sismicità Storica tenderebbe a tranquillizzarci, riportando solo eventi di Magnitudo inferiori a 6, come quelli avvenuti nel 1693 (M=5.7), nel 1708 (M=5.5) e 1998 (M=5.6). Mentre a nord, nella Val d’Agrì, si è arrivati a M = 7, e poco meno nella Sila, più a sud.
La situazione sismica dell’area è ulteriormente complicata dal fatto che gli eventi recenti sono stati preceduti da un lungo Sciame Sismico, che imperversa nella zona da un paio d’anni avendola tormentata con oltre duemila scosse, alcune delle quali hanno sfiorato il quarto grado di Magnitudo nei mesi scorsi.
Le sequenze sismiche non sono così rare; nel 2008 nel nostro paese ne sono state registrate ben 35, che sono scese a 27 nel 2009 e risalite a 37 nel 2010.
Purtroppo sono una delle bestie nere della sismologia, in quanto seguono leggi tutt’altro che lineari. A logica ci si aspetterebbe un trend costituito da un episodio maggiore seguito, a scemare, da scosse minori (conosciute come “di assestamento”); ma come abbiamo potuto constatare sulla nostra pelle dai recentissimi eventi dell’Emilia Romagna, di rado è così. Lo sarebbe se la faglia a rompersi fosse una sola e in un’unica volta. Ma quando abbiamo più porzioni che si fratturano a intermittenza, o intricati reticolati di faglie secondarie, talune di cui magari ignoriamo l’esistenza perché mai attivate e sepolte, ecco che il quadro si fa estremamente complesso. Addirittura alcune zone possono esibire sciami sismici per anni caratterizzati da eventi di intensità pressochè costante, veri e propri tremori che, di norma, sono caratteristici delle zone vulcaniche.
Per questa e svariate altre ragioni la previsione dei sismi, ad oggi, non rientra nelle nostre conquiste scientifiche, sebbene esistano ottimi spunti di lavoro come il controllo di variazioni nell’emissione di gas radon dal sottosuolo, lo studio delle anomalie nel comportamento fisico delle rocce, l’analisi delle configurazioni orbitali di Sole e Luna, ecc..
Al momento, quindi, l’unica difesa contro gli effetti nefasti dei terremoti è la prevenzione, ovvero la cautela prima che l’evento si abbatta, costruendo con criteri antisismici e, soprattutto, se si vive in un’area sismica, conoscendo il fenomeno col quale si convive mettendo in sicurezza le proprie abitazioni o luoghi di lavoro attraverso piccoli ma importanti accorgimenti.
Picco di Accelerazione Suolo (PGA): misura l’effettivo scuotimento del suolo durante un sisma, ovvero fornisce una vera e propria misura dell’accelerazione che subisce il terreno a causa del terremoto, misurata in relazione all’accelerazione di gravità (g). I valori massimi sono definiti “di picco” e sono misurati dagli accelerometri, e non dipendono solo dalla potenza del sisma, ma anche dalla sua profondità e dalle caratteristiche del terreno attraversato.
Magnitudo Momento (Mw): come’è noto la Magnitudo esprime l’energia liberata da un sisma alla sorgente, ed il concetto è stato introdotto dal sismologo statunitense Charles Richter nel 1935. Si tratta di una scala costruita sul logaritmo in base 10 dell’ampiezza massima dell’onda sismica rilevata, dove tra un grado e l’altro c’è una differenza di potenza del sisma di un fattore 10.
Poi negli anni ’70 il sismologo giapponese Hiroo Kanamori la perfezionò, includendo nella stima anche l’area di faglia, la dislocazione e la resistenza delle rocce, e definendo una differenza di energia sprigionata tra un grado e l’altro corrispondente ad un fattore 30. In pratica ciò significa che il terremoto dell’Emilia di quest’anno è stato circa 27000 volte meno potente di quello del Giappone del 2011.
La Magnitudo introdotta da Richter, chiamata anche Locale o Ml, è più veloce da calcolare, mentre il Momento Magnitudo (Mw) introdotto da Kanamori richiede più tempo. Ecco perché poco dopo un sisma troviamo solo la Ml.
La Mappa di pericolosità sismica del territorio nazionale
Purtroppo nel nostro paese si usa prendere provvedimenti solo a fatti accaduti. Con questo criterio sono state redatte, nei decenni, anche le Carte di Pericolosità Sismica. Infatti il primo tentativo di classificazione sismica territoriale è datato al 1909 all’indomani del tragico terremoto di Messina del 1908, seguito a ruota dal secondo del 1916 dopo il terremoto di Fucino.
Ancora dopo gli eventi del Friuli (1976) e dell’Irpinia (1980), nel 1982 si tentò, con un decreto ministeriale dei Lavori Pubblici, di classificare l’intero territorio nazionale in aree a basso ed alto rischio sismico, poi aggiornato nel 1998.
Finalmente nel 2003 il territorio è stato suddiviso in zone sismiche classificate in 4 categorie principali, in modo che ogni Comune avesse la sua classe sismica a cui far riferimento per ogni nuova costruzione o ristrutturazione di edifici già esistenti. Si andava dalla Classe 1, la più rischiosa, per concludere con la 4 a rischio pressochè nullo.
Infine nel 2008 è stato varato l’ultimo aggiornamento delle “Norme tecniche per le costruzioni (NTC)” entrato in vigore (casualmente..) nel luglio 2009 all’indomani del terremoto abruzzese. Tale decreto prevede una serie di indagini atte a valutare la reazione al sisma del terreno di fondazione.
Dunque le leggi ci sono, ma devono essere applicate sul territorio.
In sostanza la Mappa di Sismicità Nazionale fornisce una stima di quello che è il rischio sismico nelle varie aree del territorio sulla base della geodinamica crostale, ovvero di come sono disposte e come interagiscono le placche nel sottosuolo delle varie zone del nostro paese. Tuttavia, secondo la legge, spetta alle Regioni il compito di attribuire ad ogni Comune l’adeguata classe sismica di riferimento. Ciò significa che la Carta deve servire come base di partenza sulla quale poi inserire, attraverso un controllo approfondito e sistematico di ogni Comune, qualsiasi dato utile a valutare il rischio effettivo e la vulnerabilità di ogni area, arrivando una classificazione di Microzonazione Sismica dettagliata e sicura a salvaguardia dei cittadini e della vulnerabilità di edifici che raramente, e mai comunque prima degli anni ’80, sono stati costruiti secondo le norme antisismiche.
Gli ultimi eventi sismici che hanno colpito di recente l’Emilia Romagna ne sono un esempio eclatante. L’area è stata classificata come Classe 3, ovvero secondo la legenda come area a Pericolosità Sismica Medio – Bassa, dove si attendevano sismi di Magnitudo inferiore o uguale a 6, cioè equivalenti esattamente a quelli che si sono verificati. Quindi se ci sono stati tanti danni e, soprattutto, vittime, è perché la Regione avrebbe dovuto mettere in relazione la pericolosità intrinseca della zona con il tipo di terreno superficiale, ovvero di natura alluvionale (costituito da sabbie, limi e argille depositate nei millenni dal fiume Po’ e i suoi affluenti), e in grado di amplificare le onde sismiche e liquefare il terreno.
Una situazione analoga la troviamo nell’area della Versilia, anch’essa di Classe 3, ma che poggia sulle stesse sabbie che costituiscono il suo litorale e, quindi, soggette a liquefazione.
Il concetto, in breve, è che la Carta di Pericolosità ci dice cosa c’è sotto e che intensità di energia sismica possiamo aspettarci che si sprigioni, ma al sopra, ovvero alla conformazione del suolo ed ai suoi effetti più o meno amplificatori nei confronti delle onde sismiche, devono pensarci gli enti locali.
La Mappa nazionale della pericolosità sismica, definita come la stima dello scuotimento del suolo previsto in un sito durante un certo intervallo di tempo a seguito di un terremoto. Poiché ogni terreno risponde diversamente all’attraversamento da parte delle onde sismiche, un fattore importantissimo alla base della classificazione sismica è l’accelerazione orizzontale massima (PGA, Peak Ground Acceleration ovvero Picco di Accelerazione del Suolo) che, per definizione, è l’accelerazione subita dal terreno su un suolo rigido e pianeggiante che ha una probabilità del 10% di essere superata in 50 anni.
Prima o poi, arriverà la botta; dubbi non ce ne sono, purtroppo... Speriamo molto poi, visto che già di danni ne abbiamo fin sopra i capelli, come azienda Italia...
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