Secondo la teoria dell’impatto gigante, proposta nella sua forma moderna in una conferenza nel 1975 da William K. Hartmann e Donald R. Davis, la Luna si sarebbe formata in uno scontro apocalittico tra una Terra primordiale ed un corpo planetario chiamato Theia (nella mitologia greca Theia – o Teia – è la madre di Selene, dea della Luna).
Questo scontro è stato così potente che è difficile anche solo da immaginare, se si pensa che l’asteroide che ha fatto estinguere i dinosauri era delle dimensioni di qualche chilometro, mentre Theia si pensa fosse delle dimensioni del pianeta Marte.
Il rimpasto dei due pianeti ha rilasciato così tanta energia che gran parte del mantello della Terra e l’intera Theia si sono fuse e vaporizzate. La Luna è poi condensata dalla nube di vapore di roccia, parte del quale è poi ricaduto anche sulla Terra.
Questa idea, apparentemente bizzarra, ha guadagnato proseliti perché le simulazioni al computer hanno mostrato che in effetti una collisione gigante avrebbe potuto creare un sistema Terra-Luna con le giuste dinamiche orbitali e perché spiegherebbe una caratteristica fondamentale delle rocce lunari.
Una volta ottenute le rocce lunari, analisi geochimiche di laboratorio hanno ben presto permesso di accorgersi che esse sono quasi prive di quelle che vengono chiamate “sostanze moderatamente volatili”. La Luna è molto povera di sodio, potassio, zinco e piombo, dice Moynier.
“Ma se le rocce sono povere di volatili perché questi sono sfuggiti dopo il gigantesco impatto, dovremmo anche vedere il frazionamento isotopico”, ha proseguito. Gli isotopi sono varianti di un elemento della tavola periodica che hanno masse leggermente diverse ma stesso numero atomico, a causa della presenza o meno di neutroni nel nucleo.
“Quando una roccia viene fusa e poi evapora, gli isotopi leggeri entrano nella fase di vapore più velocemente che gli isotopi pesanti. Se il vapore si disperde, il residuo materiale roccioso sarà arricchito in isotopi pesanti rispetto al materiale di partenza,” spiega Moynier.
Il problema era che gli scienziati non riuscivano a trovare questo frazionamento isotopico.
Per far questo, il team ha analizzato 20 campioni di rocce lunari, tra cui quelle delle missioni Apollo 11, Apollo 12, Apollo 15 e Apollo 17 – ognuna con destinazioni diverse sulla Luna – e infine di un meteorite lunare.
Per ottenere i campioni, conservati a Houston presso il Johnson Space Center, Moynier ha dovuto convincere la commissione che controlla l’accesso alle rocce del valore scientifico del suo progetto.
“‘Quello che volevamo erano i basalti,” spiega Moynier, “perché sono quelle le rocce che che provengono dall’interno della Luna e sono quindi più rappresentativi della composizione interna della Luna.”
Rispetto alle rocce terrestri e marziane, le rocce lunari sono risultate avere concentrazioni molto più basse di zinco, ma con una concentrazione alta di isotopi pesanti di tale elemento.
Terra e Marte hanno composizioni isotopiche come quelle dei meteoriti condritiche, che si ritiene rappresentino la composizione originale della nube di gas e polveri da cui si è formato il sistema solare.
La spiegazione più semplice di queste differenze è che le condizioni durante o dopo la formazione della Luna hanno portato ad una perdita di volatili e un frazionamento isotopico, cosa che non è avvenuta sulla Terra o su Marte.
L’omogeneità isotopica dei materiali lunari, a sua volta, suggerisce che il frazionamento isotopico è il risultato di un vasto processo, piuttosto che un qualche fenomeno locale. “Il lavoro ha anche implicazioni sull’origine della Terra”, Moynier sottolinea, “perché l’origine della Luna è stata una grande parte dell’origine della Terra.”
Senza l’influenza stabilizzante della Luna, la Terra sarebbe un pianeta molto diverso. Girerebbe molto più rapidamente, i giorni sarebbero più brevi, il clima più violento ed estremo. In effetti, sarebbe un pianeta molto più difficile da vivere, e forse non sarebbe stato nemmeno adatto per l’evoluzione di una specie come la nostra.
Ritorna in auge la teoria di Sitchin!!
Zecharia Sitchin, nel suo libro “Il Pianeta degli Dei” (The Twelfth Planet), sempre basandosi sui antichi testi Sumeri, fornisce dati piuttosto precisi sulle caratteristiche di Nibiru e ritiene probante, al fine di definire “strabilianti” le conoscenze astronomiche sumere, l’analisi di un reperto conservato nel Museo di Stato di Berlino, un’incisione su un sigillo cilindrico accadico risalente al 2400 a.C.
Il sigillo, a detta di Sitchin, altro non è che una raffigurazione del Sistema Solare che vede la nostra stella circondata dai pianeti da noi oggi conosciuti, nella giusta successione e dimensione, più Tiamat e il misterioso Nibiru. Tiamat, per i Sumeri, è un pianeta anticamente posto tra Marte e Giove.
Già molto prima dell’arrivo degli Anunnaki, Nibiru si è trovato periodicamente in posizione a noi prossima. In uno di questi passaggi viene ad impattare con Tiamat; quest’ultimo si frantuma in più parti, una parte diviene la cintura degli asteroidi mentre, la restante parte di Tiamat con il suo satellite Kingu (la Luna), viene scagliata verso un’orbita più vicina al Sole e genera all’attuale sistema Terra-Luna…
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La Luna sarebbe nata da un gigantesco impatto tra due pianeti
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